Il dovere della Memoria

Shoa: la tragedia dell’olocausto riecheggia in un fitto programma di manifestazioni

Parole chiave: olocasuto (1), shoa (2), nazismo (4), giornata (22), ricordo (5)
Il dovere della Memoria

«Meditate che questo è stato». L’appello del torinese Primo Levi, nello struggente proemio del suo capolavoro «Se questo è un uomo», batte il tempo dei decenni che ci separano dalla Shoa, e invita, ogni anno, ad ogni «Giorno della Memoria», ogni 27 gennaio (la data della liberazione del Campo di Auschwtiz, alla fine della Seconda Guerra Mondiale), a non trasformare la tragedia dello sterminio di svariati milioni di Ebrei (e delle altre «minoranze»: rom, omosessuali, dissidenti politici…per un totale, si calcola, tra i 10 e i 12 milioni) in qualcosa di infinitamente lontano: di troppo piccolo, o, all’opposto, di troppo grande perché ci si possa confrontare con esso.

Il rischio è ben presente quando si fanno i conti con la tragedia, o anche solo se si prova a dare un senso, a capire come è possibile che ciò «sia stato», per parafrasare Levi. «Dopo Auschwitz, nessuna poesia, nessuna forma d'arte, nessuna affermazione creatrice è più possibile. Il rapporto delle cose non può stabilirsi che in un terreno vago, in una specie di no man's land filosofica» scriveva il filosofo tedesco Adorno nel 1966; negli stessi anni, Elie Wiesel, uno dei sopravvissuti ai campi, ne «La Notte» decretava la «morte di Dio» nelle camere a gas, insieme a quella del popolo ebraico. La Shoa, quindi, come perdita dell’innocenza dell’Occidente, e insieme come fine della Storia, in quanto fine di quella possibilità di raccontare che della Storia è motore.

Sono riflessioni che ben riflettono il carattere di rottura che la «Soluzione finale» eseguita dal Nazismo, con la complicità dei regimi alleati, tra cui l’Italia mussoliniana, ha nelle vicende del nostro Continente. La macchina di sfruttamento e morte concretizzata nei campi di mezza Europa, la fredda volontà di potenza che l’aveva preparata, e la sua shoccante scoperta, alla fine della guerra, costituiscono senz’altro uno dei momenti più evidenti di accelerazione della Storia: tra le conseguenze più durature, la scomparsa, dall’Europa orientale, di due presenze centenarie: gli oppressi, gli Ebrei (per eliminazione fisica o per diaspora nel nuovo stato di Israele), ma anche, per triste ironia della Storia, gli oppressori, i Tedeschi (milioni di persone di lingua tedesca, dopo il 1945, furono costrette ad abbandonare le loro case in Polonia, Repubblica Ceca, Balcani, stati Baltici, per tornare nei confini della nuova Germania divisa).

E tuttavia, appunto, la Storia non si è fermata ad Auschwitz, e neppure, come possiamo quotidianamente sperimentare, sono finite la poesia o la fede degli uomini. In un mondo scosso dalle violenze (orientate, ancora una volta, sull’identità religiosa od etnic), in una Europa che si vuole vaccinata dall’esperienza della Shoa restano, si potrebbe dire, il diritto e il dovere di fare del Giorno della Memoria una Giornata del Racconto del senso di ciò che «è stato» (delle spiegazioni storiche e filosofiche della tragedia e della sua preparazione, ma anche degli atti di eroismo che si contano a centinaia, a migliaia): il dovere di esercitare cioè quella razionalità, unita all’intima convinzione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, che ci rende uomini. E che non è morta ad Auschwitz.

Le celebrazione. Come ogni anno, diverse occasioni, nella nostra città, sono offerte ai cittadini per ricordare e riflettere sull’esperienza dei campi di sterminio. Da giovedì 14 a sabato 16, anche a Torino, come in tante altre località d’Europa, l’artista tedesco Gunter Demnig ha posto le «pietre d’inciampo»: ciottoli con targhe nelle vie e nelle piazze per ricordare le vittime torinesi della deportazione nazista e fascista.

Mercoledì 27 gennaio alle 10.30 (per le scuole) e giovedì 28, alle 21 (per tutta la cittadinanza), presso il Salone del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino (via Mazzini, 11)   il Conservatorio di Torino, in collaborazione con l’Istoreto (Istituto piemontese per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea), il Centro internazionale di studi Primo Levi e la Comunità ebraica propongono «Musica da Terezin 1941-1945», un concerto basato sulle composizioni scritte nel lager di Terezin (Repubblica Ceca) tra il 1941 e il 1945 dagli artisti lì internati.

Sempre nel Giorno della Memoria, mercoledì 27, alle 18, presso la Sala conferenze del Museo Diffuso (corso Valdocco 4/a) si svolge l’incontro su «Ferruccio Maruffi: settant’anni di testimonianza», dedicato alla figura di Ferruccio Maruffi (1924-2015): partigiano, deportato a Mauthausen, animatore dell’Aned (Associazione Nazionale ex Deportati nei campi Nazisti), testimone e autore di memorie.

Nei giorni del ricordo, saranno anche presentati due volumi relativi ai tragici avvenimenti: mercoledì 20 gennaio alle 18.30, presso il Museo Diffuso, Carlo Greppi presenta il suo «Non restare indietro» (Feltrinelli, 2016); lunedì 8 febbraio alle 21, presso la Sala della Comunità ebraica di Torino (Piazzetta Primo Levi, 12) si presenta invece il libro Inverno in Grecia di Christoph U. Schminck-Gustavus (Golem Edizioni, 2015). Programma completo delle iniziative per il Giorno della Memoria su www.istoreto.it.

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