Non chiamatele Baby gang! I ragazzi cercano ascolto e "quotidianità educativa"

Violenza e minori – parlano il procuratore Baldelli, il cappellano del «Ferrante Aporti» don Ricca e la garante regionale dell’infanzia Turino: "c’è bisogno di adulti che siano punti di riferimento"  

Parole chiave: giovani (205), educazione (29), formazione (28), associazioni (11), chiesa (665)
Non chiamatele Baby gang! I ragazzi cercano ascolto e "quotidianità educativa"

Non chiamiamole baby gang, abbassiamo i toni. Sbattendo i minori violenti in prima pagina non facciamo altro che favorire l’emulazione». È l’appello che lanciano tre figure istituzionali che in modi diversi hanno voce in capitolo sui recenti fatti di violenza che hanno come protagonisti gruppi di preadolescenti. Abbiamo chiesto di riflettere sugli ultimi gravi episodi di cronaca registrati a Napoli ma anche a Torino (segno che il disagio giovanile è trasversale e riguarda tutto il Paese) ad Anna Maria Baldelli, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Torino, a Rita Turino, Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza del Piemonte e a don Domenico Ricca, salesiano, da 38 anni  cappellano del carcere minorile torinese «Ferrante Aporti».

«Non siamo di fronte a baby gang: qui ci sono ragazzi che commettono reati in gruppo e che per questo vanno perseguiti» chiarisce il Procuratore Baldelli «questi minori vanno fermati, resi responsabili degli atti che hanno commesso e poi avviare per loro percorsi educativi per scongiurare le recidive. Episodi simili sono sempre accaduti ma i dati evidenziano chiaramente che, laddove si fa prevenzione sul territorio, la violenza dei minori diminuisce drasticamente. È il gruppo che scatena la violenza, i singoli non hanno il coraggio di certi gesti. Nei giorni scorsi, ho firmato gli atti per la chiusura delle indagini preliminari a carico del gruppo di minorenni che la scorsa primavera ha danneggiato gravemente alcune carrozze di un treno regionale Ventimiglia- Torino. Ora quei ragazzi sono in carcere e si sta tentando con loro un percorso educativo che certamente è mancato».

Il Procuratore evidenzia come la responsabilità di crescere i minori «sia di tutta la società civile e che tutti, ciascuno per il ruolo che gli spetta, famiglia, scuola, istituzioni, abbiamo il compito di aiutare i ragazzi a crescere nel rispetto degli altri. Occorre investire sulla prevenzione non sulla repressione: serve sul territorio, laddove si verificano episodi di violenza di gruppo, un’offerta culturale ed educativa».

Sulla stessa lunghezza d’onda don Ricca: «Innanzi tutto  - e mi appello anche ai mass media - abbassiamo i toni, smettiamo  di utilizzare parole abusate come ‘baby gang’ che evocano disprezzo nei confronti di alcune categorie di giovani e spingono all’emulazione. Anche se i ragazzi non leggono più i giornali o non guardano la tv questi messaggi arrivano sugli smartphone di cui tutti loro sono dotati e con cui comunicano. Chiediamoci invece quale esempio diamo come mondo adulto spesso intriso di violenza. Sono violenti i toni della politica  dove quotidianamente ci si insulta, si lanciano anatemi contro gli immigrati, spesso le riunioni in Parlamento finiscono in rissa. Questo clima rancoroso i nostri giovani lo respirano e lo emulano.  Anche la parola ‘emergenza educativa’ ormai è abusata: cosa abbiamo fatto per affrontarla quando l’alleanza famiglia-scuola, priorità assoluta per iniziare prendere di petto il problema,  si sta rompendo definitivamente? Di fronte a fatti di bullismo che coinvolgono pre-adolescenti viene da pensare che la famiglia e la scuola siano assenti: chiediamoci che cosa non ha funzionato nel nostro Paese se in Europa  ha il primato dei  neet, i giovani dai 15 ai 24 anni  che non lavorano nè studiano che, secondo le ultime statistiche sono uno su 5, oltre 2 milioni, pari al 16% della popolazione giovanile…».

Alternative alla noia delle periferie urbane che porta alla violenza e al trionfo della legge del più forte, percorsi di prevenzione studiati in rete nel territorio con tutte le agenzie educative per dare prospettive di futuro: anche Rita Turino sottolinea  come sia l’educazione l’unico investimento possibile per prevenire la violenza tra minori che, peraltro, come il bullismo, sono fenomeni «sempre esistiti fin dai tempi del libro Cuore e oggi amplificati a dismisura dai mass media e dalle nuove tecnologie. Certo, tutti a partite dalla famiglia, dalla scuola, dalle agenzie educative e dalle istituzioni ci  dobbiamo interrogare su chi sono questi ragazzi che vanno in giro a picchiare i coetanei e il cui unico collante di gruppo è la violenza. Siamo di fronte ad un vuoto abissale che è il risultato dell’assenza della famiglia che delega l’educazione ad una scuola che non riesce più a stare al passo con i bisogni dei minori. In una parola mancano adulti di riferimento. E se facessimo tutti un passo indietro? E se, come recita la Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza  tornassimo ad ascoltare i nostri figli? L’ascolto è un diritto dei minori e i nostri ragazzi hanno sempre meno adulti di riferimento che passano del tempo ad ascoltarli».   

Don Bosco diceva che in ogni ragazzo, anche il più discolo c’è un punto di bene su cui far leva. Ma i ragazzi, secondo i nostri interlocutori hanno bisogno di presenze adulte significative che li sostengano e li aiutino a non disperdersi.

«In questi giorni in carcere mi capita di parlare con i più giovani di questi fatti perché alcuni di loro sono ‘dentro’ per episodi simili» conclude don Ricca «E quanto li fai riflettere sulla loro vita, sui gesti che hanno compiuto, quando cerchi di stargli vicino prima o poi ti dicono:  ‘don, sono stato uno stupido’. Ecco perché dico che i ragazzi – tutti, quelli che incontro in carcere ma anche quelli ‘fuori’ – hanno bisogno di ‘quotidianità educativa’ hanno bisogno di genitori, educatori, insegnanti che li ascoltino, li mettano alla prova e che non abbiano fretta di ottenere dei risultati. Per i nostri ragazzi conta di più un piccolo gesto quotidiano di vicinanza che un’ omelia. Facciamo un passo indietro, torniamo a stare con i ragazzi, smettiamo di dar loro solo ‘cose e benessere’».

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