Bartali, il campione della fede

Il profilo – Scomparso il 5 maggio 2000, il grande ciclista fiorentino è stato un fervente cristiano, beniamino dell’Azione cattolica (servizio del Tg2)

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Bartali, il campione della fede

Quando Gino Bartali rientrò in Italia dopo il grande trionfo al Tour de France del 1948, alla stazione ferroviaria di Torino trovò un comitato di accoglienza davvero speciale. I giovani dell’Azione cattolica si radunarono a Porta Nuova per festeggiare il loro beniamino, l’uomo che in quei giorni tanti avevano identificato come il salvatore della patria. «Sia Lodato Bartali», aveva titolato il 24 luglio il «Giornale dell’Emilia», e quando la radio aveva dato l’annuncio della vittoria a Briançon una settimana prima, per le vie della capitale i giornalisti riportarono che dalle finestre si sentì dire solo: «Ahò, hai visto che stracciata ha dato Bartali ai francesi?», alla faccia dello sciopero generale e dell’insurrezione incipiente.

Alla partenza della tredicesima tappa da Cannes, Gino aveva più di venti minuti di ritardo dal francese Bobet e ormai quasi 34 anni. Alla fine, tagliando il traguardo del Parco dei Principi, poteva vantare un vantaggio di ventisei minuti dal belga Schotte. Nel frattempo era arrivata una telefonata direttamente dal Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, suo amico dell’Azione cattolica, per cercare di vincere il più possibile per allentare la tensione dopo l’attentato a Palmiro Togliatti. Si era andati molto vicini a una vera e proprio rivoluzione, ma la vittoria di Gino aveva certamente aiutato a rasserenare gli animi e a unire un popolo che era diviso politicamente, ma non sportivamente.

La storia di Bartali era iniziata il 18 luglio1914 inun piccolo borgo alle porte di Firenze, Ponte a Ema, un paesino di lavandaie da dove, ogni mattina, prendeva la sua bicicletta, pesante come un cancello, e scalava la cosiddetta «salita dei moccoli» per andare a scuola in città.

Tutti ricordano bene la sua voce assai bassa e roca, ma pochi sanno che non era dovuta a qualche sigaro di troppo, bensì ad un gioco da bambini finito male. Sfidando un giorno gli amici a «guardie e ladri», Gino aveva dovuto pagare penitenza ed essere seppellito interamente nella neve. I suoi compagni purtroppo, presi dalla preoccupazione di rincasare prima che facesse buio, lo dimenticarono là sotto, e solo qualche ora più tardi mamma Giulia, preoccupata per il suo ritardo, lo ritrovò e salvò. Quella brutta disavventura gli provocò febbre altissima e seri danni alle corde vocali.

I suoi primi successi da professionista arrivarono presto e la doppia vittoria al Giro d’Italia del 1936 e 1937 lo fece subito diventare molto popolare. I giornalisti lo intervistavano e cercavano di sapere tutti i suoi segreti, ma lui spesso li deludeva, perché non aveva nulla da svelare, se non una gran classe e voglia di vincere.

«È vero che lei ha appartenuto alla Gioventù cattolica?», chiedeva Carlo Trabucco in un’intervista del giugno del 1936, e Gino rispondeva sicuro: «Ho appartenuto? Vi appartengo ancora. Io fo parte dell’Associazione di Ponte a Ema». La sua appartenenza all’Azione cattolica fu sempre un vanto, anche nei momenti più difficili, quando portare all’occhiello lo stemma con la croce al posto del fascio era non solo sconveniente, ma molto coraggioso.

Alla premiazione del Tour de France del 1938 Bartali ebbe addirittura il coraggio di non rispettare la volontà del regime fascista, che avrebbe desiderato vederlo fare il tradizionale saluto a braccio levato, e più semplicemente si fece un segno di croce per ringraziare quello che riteneva il suo unico signore.

È lui stesso a svelare la sua passione per un giovane di Ac morto da poco più di dieci anni. Bartali rivelò che aveva letto e gli era «piaciuta molto [la biografia] di Pier Giorgio Frassati. L’ho letta l’anno scorso fra una tappa e l’altra del giro di Spagna. Sono rimasto entusiasta».

Gino Bartali era davvero un uomo dalla grande fede e mal sopportava che alcuni giornalisti lo avessero iniziato a chiamare «Gino il pieux», Gino il pio. In fondo per lui non c’era nulla di speciale nell’andare a messa tutte le domeniche, appartenere all’Azione cattolica e dedicare le sue vittorie alla Madonna o a santa Teresa.

Con l’arrivo della Seconda guerra mondiale, purtroppo, aveva dovuto smettere di gareggiare, perdendo gli anni migliori della sua carriera, ma non aveva smesso di andare in bicicletta e di realizzare grandi imprese. Infatti, coinvolto dal vescovo di Firenze, cardinale Elia Dalla Costa, salvò più di 800 ebrei trasportando documenti falsi dalla Toscana ad Assisi, nascosti sotto la sella della sua bicicletta. Per questo, e per aver nascosto la famiglia Goldenberg nella sua cantina a Firenze, nel 2013 è stato ritenuto dallo Yad Vashem, il sacrario della memoria della Shoah di Gerusalemme, Giusto tra le nazioni.

I suoi successi sono proseguiti anche dopo il conflitto bellico e con essi la rivalità con Fausto Coppi, che segnò fortemente tutti gli appassionati di ciclismo: era come un derby, c’era chi tifava per l’uno e chi per l’altro, ma i due si rispettarono sempre, nonostante i normali diverbi da avversari. Nel 1960 avrebbero dovuto far parte della stessa squadra (Gino allenatore, Fausto corridore), ma la malaria portò via all’improvviso il campionissimo piemontese. E a chi gli chiedeva come era andata davvero con quella famosa borraccia passata tra i due, Gino rispondeva semplicemente: «Tu da che parte stavi?».

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