Liliana Segre, una scossa per l'Italia

La nomina della Senatrice a vita dell'87enne sopravvissuta ad Auschwitz: un gesto importante in una Europa attraversata da un'onda di antisemitismo

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Liliana Segre, una scossa per l'Italia

«Che cosa accadrà  quando gli ultimi sopravvissuti  saranno tutti scomparsi? Se già oggi, nonostante le nostre testimonianze, i numeri di matricola tatuati sul braccio, c’è chi nega le stragi dei lager nazisti, che cosa accadrà nel prossimo futuro?» mi ha detto in uno degli incontri che ho avuto la fortuna di avere con Liliana Segre. La nomina a senatrice a vita, che ha ricevuto il 19 gennaio dal Presidente della Repubblica Mazzarella, non poteva essere più tempestiva e importante in un momento in cui l’Europa e l’Italia sono attraversate da un’onda oscura di antisemitismo che giunge al negazionismo, e dal pullulare di un’intolleranza razzista.  E se Liliana Segre ha accettato, a 87 anni, di assumersi questo nuovo onere  deve avere pesato fortemente in lei questa consapevolezza.

 «Il  mio impegno nel tramandare la Memoria, contrastare il razzismo, costruire un mondo di fratellanza, comprensione e rispetto, in linea con i valori della nostra Costituzione, continuerà anche in Parlamento» ha dichiarato la neoeletta senatrice, stupita per quanto le sta accadendo: «Sono solo un araldo , una donna qualsiasi, una nonna. Cercherò di portare in Senato voci e volti che rischiano di perdersi nell’oblio, sommersi nell’indifferenza. Sono le migliaia d’italiani, appartenenti alla minoranza ebraica che, nel 1938, furono espulsi dalle scuole, dalle professioni, dalla società. Perseguitati, braccati, vennero deportati verso la soluzione finale, per l’unica colpa di essere nati».    

Liliana Segre, a 60 anni, dopo un lungo silenzio, uscì dal silenzio della  sua vita privata di madre di tre figli, per incontrare migliaia di studenti in tutta Italia.

A loro raccontava, suscitando commossa attenzione, del suo arrivo, il 30 gennaio del 1944, sulla Judenramper, la stazione dei carri piombati ad Auschwitz-Birkenau, con la mano nella mano di quel padre che aveva cercato in tutti i modi di salvarla e dal quale brutalmente la separarono subito. Non lo rivide mai più, come pure i suoi nonni paterni. Aveva quattordici anni .

Nel lager incontrò «mostri» che obbedivano ciecamente e con diabolico sadismo a un editto di morte e di annientamento. Conobbe il male del mondo che le rubò crudelmente l’adolescenza: persone uccise senza alcun motivo, per un bestiale impulso, bambini strappati dalle braccia delle madri, assassinati come a un tiro al piattello, donne violate nella loro femminilità, soltanto un numero, uno stücke, in balia dei loro aguzzini che decidevano la loro morte con un solo cenno di mano.   «La parola donna non esisteva più, il concetto di persona spariva per sempre, eravamo ragazze-nulla» ricorda spesso nelle sue testimonianze.

Per pagare il suo debito a questa insostenibile sofferenza,  Liliana Segre ha deciso  di andare  nelle scuole, per ridare un nome, un volto, a quelle donne, a quelle persone, a quei momenti che hanno segnato per sempre la sua vita, come l’ha segnata il numero di matricola 75190, tatuato sul suo braccio, che non ha mai voluto cancellare: «In questi incontri   rivivo il mio passato, negli sguardi, nei gesti di coloro con i quali ho condiviso il lager. Eravamo isole di dolore e di disperazione, immerse in un mare grigio. Era grigio il cielo, le facce, le divise. Era grigia la neve per la cenere, portata dal vento, che usciva dalle ciminiere dei forni crematori. C’era un’insopportabile assenza di colori, l’unico colore era quello della fiamma rossa del camino delle camere a gas. Non vivevamo nel pensiero di nessuno, eravamo dimenticati  da tutti».

L’oblio e l’indifferenza stanno oggi riemergendo. Avverte Liliana Segre: «Si stanno diffondendo in modo massiccio. È come la nebbia che ti sorprende in una giornata serena, nella pianura padana, mentre guidi sull’autostrada e perdi la cognizione del tempo e dello spazio. Non sai più bene dove uscire. Questa nebbia assoluta ci fa dubitare di qualsiasi cosa e teoria, tutto è uguale, il bello e il brutto, il chiaro e l’oscuro. Allora fu un mito sbagliato, quello della razza, a travolgere gli individui. Oggi moralmente è anche peggio. Non si crede più in niente, solo nel dio denaro che ha svuotato le coscienze, ha reso tutti simili nella dipendenza di chi lo possiede. Il non credere a nulla è diventato il nostro credo».

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