Le battaglie della Prima guerra mondiale «macchine tritacarne»

Settecentomila morti, cento anni fa, a Verdun. I vescovi cattolici europei hanno fatto memoria di questa strage e hanno chiesto perdono per gli errori delle Chiese, come quello di definire la guerra «giusta» e «sacra»

Parole chiave: trincee (1), prima guerra mondiale (2), chiesa (665)
Le battaglie della Prima guerra mondiale «macchine tritacarne»

Il primo colpo parte da un cannone da marina «Herr Krupp» mimetizzato in un bosco. Ma gli artiglieri tedeschi sbagliano la mira: inquadrano uno dei ponti sul fiume Mosa ma il proiettile finisce nel cortile del palazzo vescovile di Verdun. Il secondo è preciso: centra e distrugge la stazione ferroviaria. Poi a intervalli regolari di undici minuti scaricano una montagna di ferro e fuoco sui soldati francesi.

Alle 6 del 21 febbraio 1916 scatta l’operazione «Gericht, il giudizio» che si conclude alla vigilia di Natale. «Un uragano che continuò a crescere in intensità e che provocò una pioggia non d'acqua ma di pietre e di selciato» scrive il caporale Marc Stéphane che, per i suoi 46 anni, è chiamato «il nonno».

«C’è Dio in tutto questo? Se è qui, che sia dannato!». La virulenza della bestemmia e dell’imprecazione di un anonimo fante spiega l’immensa carneficina che fu la prima guerra mondiale (1914-1918) con alcune battaglie che lo storico inglese Liddel Hart definisce «macchine tritacarne».

La battaglia della Marna (6-12 settembre 1914) registra mezzo milione di morti. Nell'offensiva tedesca sul fiume Somme (1° luglio-18 novembre 1916) per la prima volta entrano in azione i carri armati. La battaglia di Verdun è la peggiore di tutte (21 febbraio-15 dicembre 1916) perché in dieci mesi lascia sul campo oltre 700 mila uomini: 378.777 francesi e 330.000 tedeschi.

Il generale Erich Von Falkenhayn, capo di Stato Maggiore tedesco, ritiene che la Francia abbia ormai compiuto il suo massimo sforzo e opta per la strategia di «dissanguare l'esercito francese» con attacchi limitati ma potentemente sostenuti dall'artiglieria su Verdun, un campo trincerato in quel momento privo di artiglieria e di truppe. Nelle  prime nove ore di bombardamento i tedeschi sparano due milioni di proiettili. A Verdun per la prima volta si impiegano i gas e i lanciafiamme. Il motto dei francesi è lo stesso del generale Henry Philippe Pétain, che comanda la II Armata: «Ils ne passerons pas. Non passeranno».

La trasformazione da guerra di movimento a guerra di trincea modifica radicalmente le prospettive: da guerra manovrata – l’esercito tedesco cerca di accerchiare quello francese e i francesi che tentano di non lasciarsi accerchiare - a guerra di posizione. La tecnologia bellica diventa sempre più distruttiva. Si potrebbe parlare della prima guerra di massa nella storia che non coinvolge solo gli eserciti ma anche le popolazioni civili.  

Cento anni dopo, i vescovi cattolici europei hanno fatto memoria di questa pagina di sangue e morte; hanno chiesto perdono per gli errori commessi dalle Chiese; hanno invitato l’Europa a fare tesoro di quella tragica lezione. Si sono ritrovati a Douaumont, cittadina francese a pochi chilometri dalla Germania, dove sorge il più grande memoriale europeo della prima guerra mondiale, un’immensa distesa di terra con migliaia di croci bianche. I vescovi sono arrivati da Bosnia-Erzegovina, Malta, Italia, Francia, Inghilterra, Germania, Romania.

La delegazione era guidata dal cardinale tedesco Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga e presidente della Comece-Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (28 Paesi) e dal cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina e delegato del Ccee-Consiglio delle Conferenze episcopali europee (33 Paesi).  

Sono scesi in silenzio nel cuore del cimitero militare dove riposano i resti di 130 mila soldati, hanno pregato in cinque lingue, hanno posto le candele accese davanti all’altare della cappella dell’ossario. Dice il cardinale Puljic di Sarajevo: «Sappiamo bene quanto sia importante sanare le ferite della guerra, mediante la forza della fede e pregare per la costruzione di una pace duratura. La preghiera è un grido al Cielo affinché illumini l’uomo e lo liberi dall’odio e venga rispettato nella sua dignità e nei suoi diritti. Chiediamo che si fermi la persecuzione dei cristiani per costruire convivenza e riconciliazione».

I vescovi fanno «mea culpa» perché le Chiese hanno sostenuto la guerra, definendola spesso «santa». È la «lettura provvidenziale»: di fronte a una società che si allontana da Dio, la guerra appare una punizione divina che solo il ri­torno alla fede può placare. Persino Benedetto XV si lasciò persuadere da questa interpretazione. Nell'allocuzione del 22 gennaio 1915 afferma: «Permette Iddio che le genti uma­ne, le quali avevan posto ogni pensiero nelle cose di questa terra, si puniscano, le une le altre, con mutue stragi, del disprezzo e della noncuranza con che lo ha trattato».

In sostanza, i peccati hanno scatenato l'ira di Dio e la guerra è la purificazione dell’umanità peccatrice. Se le cose vanno male e gli uomini si odiano, la punizione è la guerra, che ha un valore di rigenerazione. La pensa così anche un uomo di pace come Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Giovanni XXIII, autore dell’enciclica «Pacem in terris». Sergente di sanità e poi cappellano militare nella prima guerra mondiale annota sul suo «Giornale dell'anima»: «Le agitazioni attuali dei popoli significano lo smarrimento dei principi della fede. Il trionfo delle tre concupiscenze: ecco ciò che spiega tutte le guerre, specialmente la guerra attuale».

Per l’Italia lo storico piemontese Maurilio Guasco ricorda: «Il numero di preti e seminaristi che partì per il fronte fu elevatissimo, quasi 25.000, di cui 15.000 sacerdoti. Circa 2.500 divennero cappellani mili­tari, gli altri furono aggregati all'Esercito, nei servizi più diver­si. La destinazione a servizi meno rischiosi era riservata soprattutto ai preti con età più avanzata. I 10 mila seminaristi, provenien­ti dai Seminari diocesani e dalle Congregazioni religiose, vennero in­viati al fronte senza alcuna distinzione. Sorte analoga  tocca al clero francese: 33.000 preti, religiosi e seminaristi chiamati alle armi. Di questi, più di 4.500 perdono la vita. Per gli italiani mancano cifre attendibili: i preti caduti furono 800-900».

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