Mass Media, Torino a un bivio

L'uscita del gruppo Fca-Itedi dall’editoria subalpina rappresenta un fatto senza precedenti. Secondo molti osservatori si apre una pagina nuova per il giornalismo all’ombra della Mole, c’è spazio per inedite iniziative

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Mass Media, Torino a un bivio

Viene dalla penna poco convenzionale di Giorgio Levi, quarant’anni di giornalismo locale, il commento più netto rispetto alla cessione del quotidiano «La Stampa» al gruppo editoriale di Carlo De Benedetti (Espresso – Repubblica): «La Stampa se ne va da questa città; certo, non fisicamente, non la redazione (per ora), non il luogo materiale dove viene confezionato, ma la testa e il cuore, e il centro decisionale, che escono e vanno a Roma. Se è nato un polo editoriale, non sarà a Torino». Pochi osservatori usano i toni scolpiti di Levi, ma quasi tutti gli addetti ai lavori - che La Voce del Popolo ha intervistato dopo l’annuncio del ritiro di Fiat dal pacchetto di controllo della «Stampa» - ritengono che la concentrazione di Stampa e Repubblica, testate leader nelle edicole subalpine, minacci il pluralismo dell’informazione subalpina. Alcuni sono convinti che, accanto ai rischi della concentrazione, stiano profilandosi anche importanti opportunità di espressione, spazi per nuove iniziative editoriali.

 

Le nuove opportunità

 

Di «grande, forse storica opportunità» per il giornalismo locale parla l’ex caporedattore Rai Piemonte Gian Mario Ricciardi secondo cui «l’accordo Repubblica - Stampa apre gli steccati di una prateria per l’altra informazione: locale perché ce ne sarà sempre di meno sui grandi giornali, d’inchiesta perché saranno altre quelle che i grossi gruppi editoriali faranno, e anche sul confronto per le scelte del futuro i ‘salotti’ si ampliano. Da come il local si coniugherà con il global, nasceranno, si recuperanno, si rafforzeranno ‘identità’ perdute». È d’accordo il direttore del giornale on-line «Il Quotidiano Piemontese» Vittorio Pasteris: «Il mercato dell’informazione si è aperto, i torinesi possono finalmente pensare di appropriarsi della loro città. I nuovi media digitali aiutano: mettono a disposizione molte fonti di informazione di qualità».

Il direttore del quotidiano cattolico «Avvenire» Marco Tarquinio, osservatore esterno ma attento al mondo subalpino, ritiene che «le concentrazioni editoriali stiano producendo fenomeni di pensiero unico nel nostro paese; è un problema serio, ma anche una sfida appassionante per le testate che restano fuori dal coro, ad esempio i giornali cattolici; si aprono enormi spazi per le idee alternative, a condizione di sapere mettere in rete le nostre testate, di imparare a fare sistema come esige la novità dei tempi».

Francesco Antonioli del Sole 24 Ore consiglia di «aspettare prima di bofonchiare in piemontese decretando che l’alleanza dei quotidiani sarà una sciagura. Certo è un cambiamento forte, epocale. Ma è tutto il sistema dei media che sta cambiando nel villaggio globale. Chi l’ha detto che non si aprano spazi inattesi per una nuovo tipo di informazione locale?».

 

Il nodo del pluralismo

 

I rischi per il pluralismo dell’informazione sono esemplificati da Ettore Boffano, vicedirettore de «Il Fatto Quotidiano», con un passato al timone della redazione torinese di Repubblica. «Quando La Stampa diede notizia dell’incriminazione di Carlo De Benedetti per la questione dell’amianto, Repubblica tenne molto bassa la notizia che riguardava il proprietario del giornale. A ruoli invertiti, quando Repubblica raccontò le lacerazioni della famiglia Agnelli attorno all’eredità dell’Avvocato, La Stampa glissò. Cosa succederà ora che i giornali finiscono nelle stesse mani?». Secondo il direttore de «Il nostro Tempo» Paolo Girola, «c’è il rischio di giornali tutti uguali, omogenei, estranei a un giornalismo che dovrebbe illustrare la realtà, presentare opinioni diverse, alimentare un dibattito libero, l’essenza stessa della democrazia. È bene che le fonti di informazione restino plurime, abbiano distinti editori, differenti posizioni culturali e politiche».

Marco Bonatti, già direttore della «Voce del Popolo», monitora l’informazione torinese dagli anni Settanta. Inquadra il ritiro di Fiat dall’editrice La Stampa nel nuovo corso internazionale del gruppo automobilistico Fca: «Diventava sempre più difficile giustificare coi soci americani la minusvalenza del ‘Corriere della sera’, e si è trovata anche una soluzione industriale esterna per ‘La Stampa’». Anche secondo Bonatti «non sono questi i problemi: la vera questione è la crisi generalizzata dell’editoria locale e ‘minore’ (stampa e tv). Ed è questione non delle multinazionali, ma della politica italiana perché mette in gioco pluralismo e libertà».

Tre considerazioni sulla vicenda editoriale e finanziaria dei giornali quotidiani vengono da Beppe Gattino, che guidò l’ufficio stampa delle Olimpiadi Torino 2006. «La prima considerazione, molto locale, è che Torino perde ogni pretesa di centralità nella strategia di un editore di livello nazionale. La seconda, è che presto o tardi le voci tenderanno a uniformarsi; e questo non mi sembra un buon segnale per il pluralismo. Infine c’è l’uscita di Fiat dall’editoria: un passaggio storico, che non riesco a considerare negativo, se è vero che per decenni si è detto che gli editori ‘impuri’ erano uno dei grandi problemi dell’informazione italiana».

Secondo Mario Berardi, già presidente dell’Ordine dei Giornalisti piemontesi, «con l’Avvocato Agnelli il quotidiano fondato da Frassati aveva una dimensione nazionale, che oggi viene in certo modo ridimensionata. Il gruppo Espresso -Repubblica diventa il primo gruppo editoriale italiano, mentre c’è una riduzione del ruolo della Stampa. Il nuovo proprietario De Benedetti è comunque torinese, potranno esserci forme di compensazione per la nostra città». Poco ottimista è il giudizio di Beppe Gandolfo, corrispondente delle Reti Mediaset e consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti: «se guardiamo il panorama editoriale italiano non mi sembra che la fusione fra Stampa e Repubblica possa contribuire a migliorare il parco di voci, di pareri e di commenti su quel che accade nel nostro Paese e nel mondo. Sul piano strettamente piemontese, le poche voci che trapelano sui progetti futuri è che La Stampa diventerà un fascicolo allegato a Repubblica, venduto solo nella nostra regione. Davvero un bel risultato. Il terzo quotidiano italiano ridotto alla stregua di un inserto locale».

Alessandra Comazzi, storica  firma della Stampa: «Se Torino è cambiata, cambierà anche la sua informazione: forse più glocal, certo meno al centro della vita industriale italiana. Niente auto, niente giornale dell'auto. E non è detto che sarà un male». La Comazzi invita comunque a fare chiarezza sui termini: «si parla di aggregazione editoriale, ma quando uno dei due gruppi ha il 5% per cento delle quote societarie, l’altro ha il 43% (Espresso – Repubblica, ndr), bisogna parlare di vera e propria acquisizione».

 

 

Dar voce a Torino

 

Davide Demichelis, conduttore Tv, si augura che il giornalismo torinese, dopo la svolta della Stampa, non faccia una fine simile al centro di produzione Rai di via Verdi, da tempo ridimensionato. «C’era una volta il programma Timbuctu – esemplifica – con documentari di animali in onda al sabato in prima serata su Rai3: era l'unico programma in prime time prodotto dal Centro di Produzione di via Verdi, finché arrivò una telefonata da Roma e Timbuctu scomparve. Bastò che un capostruttura chiamasse l'autore del programma e 15 anni di documentari sugli animali si sono volatilizzati: ‘Il Regno degli animali’, ‘Il Pianeta delle Meraviglie’, ‘Timbuctu’… È la televisione, bellezza! Si sa, in Rai funziona così: chi lavora ai programmi vive all'insegna del precariato. Ma da Torino non partì neanche una mail, una richiesta di spiegazioni. Dagli enti locali, neanche una protesta: nulla!».

Patrizia Corgnati, direttore di Quartarete, non ritiene che il nodo del pluralismo debba preoccupare più di quanto non sia accaduto fino a ieri. «Stampa e Repubblica con la fusione dimostrano di essere espressione di uno stesso potere, non cambia un granché. Preoccupa invece è il valore simbolico per Torino di quanto sta accadendo: si sta perdendo l’identità di una città che ha sacrificato la sua anima industriale in nome di... non si sa cosa».

Riccardo Caldara, ex portavoce del Sindaco Chiamparino, pone il problema dei posti di lavoro e delle professionalità a rischio: «dopo un periodo di assestamento si inizieranno a cercare economie di scala, a partire dagli impianti e da fattori tecnico-logistici fino, inevitabilmente, a toccare le persone. Viene da pensare che a fare le spese dell’accordo saranno per primi i precari. Ma potrebbe non andare così, perché in un’ottica aziendale conviene tenersi stretti i collaboratori con i compensi più bassi: rendono come gli altri e costano poco». Emanuele Franzoso, conduttore tv a Reteconomy Sky 512: «rischiano di restare fuori i giornalisti precari, quelli che ogni giorno consumano le suole delle scarpe a caccia delle notizie vere; schiere di giornalisti che ogni giorno contribuiscono a fare dei giornali un ‘cane da guardia’ a servizio dell’opinione pubblica».

Marco Bobbio, giornalista freelance afferma: «La più grande preoccupazione riguarda i collaboratori delle due testate: come si sa freelance e precari sono ormai fondamentale nella produzione quotidiana dei giornali, in particolare delle cronache locali in tutti i settori, dalla politica alla sanità, dai quartieri allo sport. E in questo processo di fusione sono i primi a essere a rischio perché non essendo protetti da un contratto possono essere lasciati a casa dall'oggi al domani: senza stipendio, senza paracaduti, senza welfare»

Ancora Edmondo Bertaina descrive lo scenario: «In questo particolare frangente storico gli attori sono il gruppo di Repubblica e La Stampa e Il Secolo XIX. Se il punto di vista con cui guardare a queste grandi manovre è Torino, città in cui La Stampa è nata nel 1867 e dove ha sede, l’orizzonte appare molto sfocato, il mare periglioso e l’approdo sconosciuto. Forse per obbligati accordi o per celia, pare che un possedimento sperduto su al nord verrà ceduto a nuovi signori. L’augurio più sentito va giornalisti imbarcati sulle navi, che non facciano naufragio, che sfuggano le tempeste, che conservino la paga, che il capitano non sia un pirata ma sopra ogni cosa che puntando dritto sull’India non si ritrovino sulle coste dell’isola di San Salvador come improvvidamente successe a Colombo. Perché quelle terre sono ormai scoperte e non vi più oro da trafugare».

Mentre Alberto Sinigaglia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte annuncia un incontro importante: «La rivoluzione tecnologica nel mondo giornalistico da un lato è estremamente positiva ma dall’altro può avere, se non governata, degli esiti negativi In questo passaggio storico per la prima volta i giornalisti dovranno assumersi delle grandi responsabilità e questo è importante anche per marcare la distinzione tra che cosa intendiamo per giornalismo, informazione e cosai invece non lo è. Grande importanza dunque riveste l’incontro previsto per lunedì 14 marzo del direttore de La Stampa Maurizio Molinari con le istituzioni giornalistiche regionali. Un segno di attenzione e rispetto per l’Ordine dei Giornalisti e sindacato subalpino, per descrivere la svolta storica in atto che si inserisce in un momento di perdurate e delicata situazione dell’informazione in Italia, dal punto di vista economico e occupazionale con le sue molteplici conseguenze».

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