La post-verità non è una novità

La disinformazione, che è sempre esistita, oggi è davvero alla portata di tutti. Ma qualche antidoto c’è …

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La post-verità non è una novità

 

L’acceso dibattito sulla post-verità, cioè sulle possibili difese dai fake, dalle bufale, dalle false notizie che circolano in abbondanza su Internet e sui social media, meriterebbe un titolo shakespeariano: “Molto rumore per nulla”.

I fautori di maggiori controlli e poteri di intervento sanno in realtà benissimo che sarebbe impossibile controllare efficacemente quel che circola in rete senza attribuire al controllore poteri da regime totalitario. E anche così il controllo totale non sarebbe garantito.

I difensori a oltranza della “libertà della Rete” sanno a loro volta molto bene che affidarsi totalmente alla maturità e al discernimento delle persone significa che le bufale continueranno a prosperare. E non si può escludere che tra gli esponenti di questo fronte ci sia anche chi vuole in realtà mano libera nella diffusione della cosiddetta post-verità, perché essa è funzionale a interessi economici o battaglie ideologiche (e, talora, al connubio fra gli uni e le altre).

 

Un nome equivoco

Già il fatto che la si chiami “post-verità” è indicativo di una dissimulazione: come e peggio di espressioni analoghe, come post-industriale, la formuletta allude a una nuova fase evolutiva, quando in realtà si tratta di una degenerazione.

Il mito della società post-industriale lasciava intendere originali e promettenti vie alla crescita economica e del benessere, ma la realtà, come sappiamo, è stata ben diversa: crollo, anzi, delocalizzazione dell’industria verso aree a sfruttamento intensivo e impoverimento generale.

La favola della post-verità allude a una felice era di democrazia informativa online, in cui si supera l’oligopolio delle notizie, si voltano le spalle alla comunicazione delle élite e alle “verità di regime” e dove tutti sono potenziali contributori di contenuti utili, onesti e istruttivi. In realtà è l’era della bufala libera, che a sua volta genera enormi bolle di accaniti dibattiti e può orientare – anzi, disorientare – le scelte di tantissimi consumatori, cittadini, elettori.

Una recente ricerca del Censis rivela che uno dei motivi del grande successo dei social media è proprio il desiderio di sottrarsi all’informazione proveniente dalle élite, verso la quale si nutre una crescente e spesso giustificata diffidenza. Ma con che cosa viene sostituita questa informazione? Spesso con un tam-tam di chiacchiere, che nella migliore delle ipotesi è frutto di equivoci o di pressapochismi, ma spesso e volentieri è costruito ad arte da specialisti della disinformazione.

E qui conviene fermarsi e riflettere su un fatto: la disinformazione è sempre esistita (leggere o rileggere “1984” di George Orwell è quanto mai istruttivo, a questo proposito). E non è mai stata esclusiva dei regimi totalitari, e neppure di chi in generale detiene il potere, anche se questi hanno naturalmente più strumenti per metterla in atto.

Disinformavano e disinformano i poteri, disinformavano e disinformano gli oppositori di quei poteri. In ogni tempo è andata così: il biografo del principe, l’intellettuale ammaliato dal regime o dal guerrigliero di turno, i servizi segreti deviati, i dissidenti perseguitati, per non parlare di chi vuole conquistare fette di mercato ai suoi prodotti o difenderli dalle accuse di nocività.

Quello che oggi è drasticamente cambiato, e offre ai mistificatori una enorme potenza di fuoco, è la risorsa tecnologica. Ai tempi di Stalin ci voleva un sofisticato laboratorio fotografico per far scomparire dalle foto col dittatore i gerarchi che via via cadevano in disgrazia, oggi basta un software di fotoritocco che chiunque può acquistare ed è facile da usare. Per far circolare una campagna di disinformazione di massa un tempo occorreva comprare o ingannare i giornalisti della carta stampata, poi si è potuto giocare coi tempi veloci della televisione, che riducono il margine di controllo, ed oggi si conta sull’istantanea diffusione in rete e tutti possono diventare produttori e propagatori (più o meno consapevoli) di false notizie, false immagini, recensioni prezzolate di hotel e ristoranti, dicerie dell’untore e quant’altro.

E se il peggio viene da chi ha consapevolmente un interesse losco, non si pensi che la purezza dell’ideale trattenga la mano dal produrre un fake. Anzi, la “buona causa” può fare da alibi morale, il fine nobile giustificare i mezzi, tanto più che sono davvero a portata di mano per tutti.

 

Qualche antidoto

Non c’è difesa totale contro la disinformazione online, tutti ci siamo cascati almeno qualche volta e tutti ci cascheremo ancora. Ma si può adottare qualche semplice accorgimento per filtrarne una buona parte e per non rendersene involontari complici. Ecco un piccolo elenco, certamente incompleto, ma utile:

  1. sottrarsi al “cono di conferma”: i social media, analizzando le pagine preferite e i comportamenti di consultazione, tendono a proporre all’utente siti e pagine consonanti ai suoi probabili gusti e caratteristiche. Lo fanno in chiave di marketing, ma uno degli effetti è che ci si ritrova circondati da pagine che confermano le nostre opinioni e inclinazioni. Inoltre, noi stessi tendiamo a consultare sempre e solo fonti che la pensano come noi (o siamo noi che finiamo per pensarla come loro?). Sempre sforzarsi di consultare anche fonti lontane o addirittura opposte
  2. mai condividere o commentare a caldo una “notizia” clamorosa postata da qualcuno, indipendentemente da quanto sembra attendibile o da quanto ci smuove pro o contro: prima verificare, poi esprimersi ed eventualmente rilanciare. E’ il contrario di quel che la Rete ci stimola a fare, ma è una igiene mentale necessaria
  3. non cavalcare l’onda: è forte la tentazione di surfare su una grande onda di opinione scatenata da una “notizia”. Ma che tanti la rilancino e la commentino non è di per sé garanzia di attendibilità. Tra i tanti detti e proverbi della tradizione, vox populi, vox dei è uno dei più ingannevoli …
  4. se non c’è il link, non fidarsi: “ho sentito che sul tal giornale …” non è una prova che la notizia sia stata realmente pubblicata da quella fonte. Se non c’è il link diretto, meglio non fidarsi. Qualche volta scarteremo notizie vere, ma sicuramente faremo giustizia di molti falsi
  5. occhio alle zombie-news: una delle bufale, anche involontarie, più frequenti è il rilancio di notizie vecchie o già smentite come se fossero nuove. Sempre controllare le date di pubblicazione e gli articoli correlati sulla fonte da cui proviene la notizia
  6. una foto-notizia non è una notizia: se l’informazione consiste solo di un’immagine, verificare altre fonti e in assenza di articoli seri e circostanziati non dare seguito. E’ troppo facile taroccare una foto  o costruire da zero un’immagine falsa
  7. l’amico non è una garanzia: il fatto che la notizia provenga da un amico non basta ad accreditarla. Se è un “amico” solo online, non ne sappiamo abbastanza. Se è un amico vero, serio e onesto, potrebbe a sua volta essere caduto nella trappola del fake
  8. consultare e confrontare vere testate giornalistiche: il fatto che tutti possano pubblicare o rilanciare contenuti in Rete non significa che tutti sappiano farlo bene o lo facciano correttamente. I giornalisti e le testate editoriali possono essere più o meno autorevoli, più o meno ideologicamente schierati, ma hanno un mestiere e sono soggetti a verifiche incrociate. Devono essere queste le nostre fonti primarie di informazione, e grazie alla Rete possiamo facilmente confrontare testate di orientamento diverso. Una “notizia” che nessun giornale accreditato e di esperienza ha pubblicato, probabilmente non dava garanzie sufficienti per esserlo.

 

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