L'estate del burkini

Una riflessione su uno dei dibattiti più accesi di queste settimane

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L'estate del burkini

Burkini e burqa, due diversi capi d’abbigliamento per musulmane. Il burkini è un costume da bagno che copre la donna dalla testa ai piedi, lasciando scoperto solo l’ovale del viso. È stato inventato da una stilista australiana musulmana, nel segno di una maggior libertà della donna. Nei paesi islamici generalmente le donne si recano in spiaggia e fanno il bagno vestite di tutto punto. Questo comportamento corrisponde letteralmente ai dettami del diritto islamico, nelle sue diverse scuole, che vieta alle donne di scoprire il capo e impone di coprire il corpo fino alle caviglie.

Ciò non toglie che la prassi attuale si discosti talvolta dal diritto religioso, in alcuni Paesi islamici, certamente non quelli radicali. Ad esempio,  sulle spiagge della Tunisia e dell’Algeria, donne vestite di tutto punto si mescolano ad altre che indossano il burkini e altre che indossano il bikini mentre in altri paesi, come i Paesi del Golfo e l’Egitto, la mise tradizionale islamica è d’obbligo.

Il caso del burkini è scoppiato quest’estate  in Francia, dove una trentina di sindaci della Costa Azzurra ne hanno vietato il portamento e alcune trasgreditrici sono state multate. Un acceso dibattito vede contrapporsi in sostanza due fronti, quello a difesa dei diritti umani, pro burkini, e quello contro il burkini a difesa della «laicità francese»  (virgolette d’obbligo, perché la «laicità» è diversamente declinata nei diversi paesi, «paese che vai, laicità che trovi»… Ma spesso i media ignorano se non deliberatamente equivocano nella  questione). Se i sindaci sono espressione della destra politica francese non lo è Manuel Valls, socialista e Primo Ministro della Francia, che lo definisce «incompatibile con i valori della Francia» ed «espressione di un’ideologia basata sull’asservimento della donna».  Insomma, in gioco è la concezione della «laicità», unica misura della ragione francese anche nell’epoca della globalizzazione, ma  destinata a scontrarsi con continui paradossi. Ed ecco servito il primo: il Consiglio di Stato francese, il più alto organo di giustizia amministrativa, ha deliberato di annullare le misure di legge che prevedono il divieto del burkini in Francia poiché il provvedimento: «viola gravemente, e chiaramente in modo illegale, le fondamentali libertà di andare e venire, la libertà di credo e la libertà individuale». Al che replica Manuel Valls : «denunciare il burkini non mette assolutamente in discussione la libertà individuale. Non è libertà quella che imprigiona la donna ! … Il burkini non è un segno religioso è l’affermazione nello spazio pubblico di un islamismo politico».

Non possiamo semplicemente tacciare Valls di laicismo e «assimilazionismo» (la via tipicamente francese dell’integrazione degli «stranieri») ma riteniamo che la sua affermazione è solo «parzialmente» vera. Anzitutto il burkini esprime un’attitudine più generale della cultura islamica «patriarcale», non necessariamente politica né radicale, cioè quella dei terroristi. E le donne lo indossano il burkini -e più in generale il velo- lo fanno per svariati motivi: perché costrette dagli uomini; o perché esse stesse considerano  il velo simbolo della donna «devota», una sorta di «sesto pilastro» dell’islam, difficilmente giustificabile con il Corano quanto piuttosto con la Sunna (la Tradizione); o perché la donna , indossando il velo, riesce a «evadere» qualche ora di casa in santa pace; o perché se non porta il velo non si sposa; o perché,  lontana da occhi indiscreti, se ne sbarazza … Insomma, occorrono generazioni per promuovere cambiamenti culturali. Ad una parlamentare tunisina, qualche mese orsono, facevo notare che dopo la rivoluzione tunisina molte donne si erano velate. La parlamentare, non velata, mi ha risposto: «Non pensi che il velo sia necessariamente un’espressione religiosa o politico-religiosa. Il fatto è che la donna tunisina non  ha avuto né il tempo né l’occasione d’interrogarsi sul rapporto con il proprio corpo. Al tempo del presidente Bourghiba il velo era obbligatorio. Sotto il presidente Ben ‘Alī il velo era proibito. Ora, dopo la rivoluzione, la donna per la prima volta s’interroga come abbigliarsi».

La questione del portamento del burqa è più pacifica. Il burqa, di origine afghana, è il velo che copre interamente il viso della donna, similmente il niqab, originario dei Paesi del Golfo, copre il viso lasciando eccetto gli occhi.

La Francia, dal 2010, ha una legge che lo vieta, o meglio vieta la «dissimulazione del volto nei luoghi pubblici», inclusi strade e piazze e «i luoghi aperti al pubblico» (negozi, bar e ristoranti, parchi, trasporti) o «destinati a un servizio pubblico» (scuole, ospedali, uffici).

La Merkel ha recentemente sollecitato l’approvazione di una legge che introduca un divieto parziale del portamento del burqa  e di qualunque velo integrale che occulta il volto. «Dal mio punto di vista – ha affermato la Merkel-  in Germania una donna completamente velata ha poche possibilità di integrarsi». Gli ha fatto eco il  Ministro dell’Interno, Thomas de Maizière, che si è detto d’accordo con la Cancelliera «nel voler prescrivere l’obbligo di mostrare il volto dove è necessario per la convivenza nella nostra società: al volante, davanti alle autorità, all’Ufficio di stato civile, in scuole e università, nel servizio pubblico, di fronte a un tribunale».

Niente di trascendentale, nessuno si stracci le vesti, sono proprio le stesse norme che regolano il divieto del portamento del burqa … in Egitto!!!

L’Italia non ha una legge ad hoc per il portamento del velo integrale islamico e la questione è regolata sulla base all'art. 85 del Testo unico della legge di pubblica sicurezza (decreto regio, 18 giugno 1931, n. 773) che vieta di «comparire mascherati in luogo pubblico» prevedendo per i trasgressori una «sanzione amministrativa».  Articolo integrato dalla Circolare della Direzione generale dell'Amministrazione civile, del 14 marzo 1995 che recita: «nel caso in cui la copertura del capo con velo, turbante o altro sia imposta da motivi religiosi, il turbante, il ‘chador’ o anche il velo, come nel caso delle religiose, sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, a identificare chi li indossa, naturalmente purché mantenga il volto scoperto». Ma la magistratura ne ha orientato l’interpretazione nel senso che il velo integrale  è vietato solo nei documenti di identità.

Insomma, la questione «politico e giuridica», non oziosa, sottolineata  dalla Cancelliera tedesca,  in Italia si stenta a cogliere, a meno di fare una nuova legge ad hoc. D’altra parte, non siamo il paese del pecunia non olet per cui è meglio mettere i braghettoni a qualche opera d’arte (nel 2016!) per compiacere qualche ricco sceicco del petrolio? 

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