I civili e la guerra, non solo atomica
A proposito di un incontro storico passato sotto silenzio che si è svolto solo un mese fa
Lo scorso 27 maggio, con qualche mese di anticipo rispetto all’ esatta ricorrenza del 6 agosto, il presidente degli Stati Uniti, Obama, l’ unico – finora- ancora in carica a farlo, si è recato ad Hiroshima, in occasione del settantesimo anniversario dello sgancio della bomba atomica. La visita è stata una sorta di pellegrinaggio di riconciliazione sul primo luogo che vide i devastanti accadimenti dell’uso militare dell’ arma nucleare su una popolazione civile. Non ci sono state scuse, come qualcuno avrebbe voluto, ma si è visto un gesto significativo tra due nazioni un tempo avversarie ed ora amiche ed alleate; è stato anche un atto simbolico, teso a tenere vivo il ricordo di quella tragedia, con l’auspicio che non se ne vedano più altre ripetizioni, dopo quella del 9 agosto 1945 sulla città di Nagasaki.
L’uso di quel tipo di arma ha rappresentato una svolta epocale nella storia dell’umanità, aprendo la prospettiva della sua possibile fine, se una corsa sfrenata di sempre crescenti sue produzioni e un suo uso illimitato avessero portato ad un possibile scontro finale. Ora, finito l’equilibrio del terrore tra Usa ed Urss, questa eventualità sembra essere più remota, anche se non è escluso che un domani qualche forza incontrollata e non democratica possa tornare ad usare bombe atomiche in qualche conflitto locale (speriamo di no, comunque). Gli effetti di quelle due esplosioni nucleari, nell’ agosto del ’45, sono stati devastanti: decine di migliaia di persone morte in un attimo (forse 200.000), malattie hanno colpito molti sopravvissuti (forse 150.000) per decenni successivi e ci sono state conseguenze terribili sull’ ambiente, e così via,... Non vogliamo qui soffermarci a discutere sulla scelta, forse presa in solitudine dall’allora presidente americano Truman, di ricorrere all’arma finale per risparmiare una lunga guerra terrestre sul territorio giapponese che, dicono, sarebbe stata più lunga, più costosa e, infine, maggiormente devastante e sanguinosa: la questione è complessa e controversa, ma, pur plaudendo all’iniziativa (tardiva) del più alto esponente della politica statunitense, di recarsi su uno di quei luoghi simbolo, pare importante fare un’altra considerazione. Lo scorso febbraio, nei giorni 13 e 14, c’è stata la settantesima ricorrenza del bombardamento anglo americano sulla città tedesca di Dresda, a pochi mesi dalla fine della guerra, la cui utilità – al fine di concludere più in fretta il conflitto- non pare sia stata riconosciuta da nessuno. Anche quel bombardamento, compiuto utilizzando bombe “tradizionali”, rase completamente al suolo la città, fece decine di migliaia di morti (forse anche qui 200.000), ma pare che nessuno degli eredi di quei governanti, che lo decisero o lo permisero, abbia oggi pensato di ricordarlo e/o di scusarsi. Due pesi e due misure, forse perché la seconda guerra mondiale fu così piena di bombardamenti aerei “tradizionali” che non vale la pena ricordarli,… a partire dalla prima città britannica, sostanzialmente distrutta dai tedeschi nel 1940, Coventry, un disastro tale che – da allora- nella lingua inglese esiste un verbo che si potrebbe tradurre “coventrizzare”, il cui significato è: “radere al suolo”.
E’ invece opportuno rammentare che il secondo conflitto mondiale vide, per la prima volta nella storia (in scala così ampia), il coinvolgimento “globale” delle popolazioni civili in azioni militari (mentre in passato i danni sui civili erano “limitati” ai soli luoghi vicini ai combattimenti). Con l’uso militare dell’aviazione su gente inerme si è aperta una nuova e disperata pagina nella storia dell’umanità. Se, forse, nella guerra italo-turca del 1911, l’aviazione comparve per la prima volta in un combattimento (a questo proposito un erede della famiglia di industriali Caproni di Taliedo affermava, purtroppo con un certo orgoglio, che i suoi avi avevano costruito il primo aereo utilizzato in una battaglia), già nel 1936 in Spagna, sporadicamente entrambi i contendenti utilizzarono aerei per colpire alcuni obiettivi pacifici; ed è col bombardamento della città di Guernica, dell’anno successivo, da parte dei nazisti alleati con Franco, ricordato dal celebre omonimo dipinto di Picasso, che si iniziò a distruggere sistematicamente le città, anche se distanti dal teatro militare. Ma forse, sempre nel 1936, l’utilizzo spregiudicato di gas, da parte dell’ Italia fascista in Etiopia, dove i confini tra la popolazioni e le tribù militari erano molto labili, potrebbe essere considerato il primo utilizzo, in larga scala, dell’aviazione contro i civili.
Il mancato rispetto degli “inermi” è stata una cattiva lezione che ha fatto una pessima scuola, come possiamo, ahinoi, vedere in tante tragedie quotidiane di questi tempi attuali; e l’ aviazione militare è stata maestra nel far male agli innocenti, in quanto usata senza scrupoli. Bisogna, perciò, riflettere sugli scrupoli: cioè su quelle virtù, sui sensi etici, sui principi morali,… per i quali anche le peggiori controversie internazionali dovrebbero avere dei limiti invalicabili di confronto: tra questi il rispetto dei civili innocenti. Problema complesso, in quanto la capacità di fissare questi limiti spetterebbe alla politica, ma dove esiste una politica capace di governare questi processi? Se non la si trova, e i tanti guai attuali (dai più cruenti a quelli più ideologici, fondamentalisti, separatisti od isolazionisti) non fanno ben sperare, quindi si può temere che questi disastri perdureranno e forse cresceranno ancora.. Confidiamo che le migliori classi dirigenti dei nostri paesi trovino soluzioni adeguate, per evitare di ricorrere a quella che parrebbe essere la conclusione definitiva: “la guerra (aerea e non) come continuazione della politica con altri mezzi”, come il prussiano Clausewitz tristemente ipotizzava, ed oggi abbiamo mezzi sempre più potenti e sempre più incontrollabili, come Guernica, Coventry, Dresda, Hiroshima, Nagasaki, Falluja, Aleppo, ecc. mestamente e sanguinosamente avrebbero potuto insegnarci.
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