Don Albacete missionario del futuro

Un giorno a Torino, tanti anni fa, a Telesubalpina realizzammo un'intervista al sacerdote che ci fece comprendere il movimento più esteso e profondo della Chiesa

Parole chiave: gesuita (4), missionario (4)
Don Albacete

Quando don Lorenzo Albacete ebbe occasione di venire a Torino, fui raggiunto dalla telefonata di don Primo Soldi che proponeva di intervistarlo a Telesubalpina . Al tempo curavo il programma “Vita della Chiesa”, divenuto un canale importante per mostrare agli occhi di un pubblico più vasto di quello dei fedeli la vitalità del mondo cattolico piemontese.

Non conoscevo l'ospite proposto, ma ovviamente mi fidavo di chi lo stava presentando. La descrizione sommaria fu che si trattava di un prete divenuto un interlocutore apprezzato dell'intellighenzia nordamericana. Parlava in italiano, e questo mi rese facile l'incontro.

Nello studio di corso Matteotti ci trovammo improvvisamente sbalzati a New York, dove - attraverso l'intervista - potevamo immaginare personaggi del cinema e della moda, della politica e dell'editoria radunati in un grande salotto dove l'autosufficienza del pensiero post-moderno poteva incontrare - senza sorrisini di sufficienza - il bisogno di Dio. A metà degli Anni Novanta stava incominciando a fare breccia nel mondo occidentale la necessità di considerare in maniera nuova la dimensione spirituale dell'uomo, mentre si andavano divaricando i punti di vista fra chi sceglieva l'assoluto delle cose materiali e chi puntava a una estraniazione totale dalle cose. L'interpretazione della famiglia e della sessualità era uno dei punti di maggiore frizione, tanto che lo stesso Giovanni Paolo II nel corso della sua visita pastorale negli Stati Uniti circa un decennio prima, nel 1979, aveva mirato la riflessione sul valore della vita, sui diritti e sui beni inviolabili dell'uomo in vista dell'allora prossimo Sinodo sulla famiglia.

Don Albacete, diocesano di Washington, amico personale di Wojtyla grazie a un incontro fortuito avvenuto quando - da vescovo di Cracovia - questi era andato a trovare l'ordinario della capitale nordamericana, si trovò di fatto a rappresentare il pensiero e lo stile del Papa al di là dell'Atlantico. Il tratto ideale che legava il giovane prete con Giovanni Paolo II era costituito da don Luigi Giussani, che aveva trovato nel dinamismo temprato di Albacete un valido aiuto per tessere l'azione del suo movimento oltre i confini nazionali.

Di origine portoricana, l'immigrazione negli Stati Uniti dovette essere anche lui una sfida a mettere assieme la tradizione cattolica e la cultura laicista: ma la sua formazione scientifica gli aveva già sottoposto le questioni fondamentali del dialogo fra fede e vita, fra ricerca e morale. Unita a una certa dose di umorismo e a una forte adesione alle verità dogmatiche, la sua testimonianza - che anche noi potemmo raccogliere in video - era quella di una persona che affrontava a viso aperto contestazioni e dubbi provenienti dalle accademie di cultura e dai circoli intellettuali. Non solo per opporre affermazioni teologiche a convinzioni etiche, ma anche per raccogliere confidenze e conversioni del cuore, per accogliere - secondo il linguaggio e le condizioni di ambienti consumistici e un po' snob - il senso di quella realtà e le domande che le persone in essa si pongono.

Per approfondimenti:

Il bel ricordo di Marco Badazzi (digital edior de La Stampa)

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