Assisi. Il Papa: non soffochiamo il grido di pace dei sofferenti

Ad Assisi il Papa invita a non chiudere l’orecchio al grido del povero, grido che troppo spesso tendiamo a “spegnere, come si spegne la TV con il telecomando”, ma a pregare e restare vicini a chi soffre.

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Ad Assisi il Papa invita a non chiudere l’orecchio al grido del povero, grido che troppo spesso tendiamo a “spegnere, come si spegne la TV con il telecomando”, ma a pregare e restare vicini a chi soffre.

Oggi il mondo avrà il suo centro ad Assisi, ma sarà tutto il mondo a pregare per la pace. Questo è il pensiero del Papa, espresso durante l’omelia del mattino a Casa Santa Marta, poco prima di imbarcarsi per Assisi: “Dio, Padre di tutti, di cristiani e di non cristiani — Padre di tutti — vuole la pace. Siamo noi, gli uomini, sotto la tentazione del maligno, che facciamo le guerre per guadagnare soldi, per prendere più territorio”. Dio è Dio di pace, non esiste un dio di guerra: “quello che fa la guerra è il maligno, è il diavolo, che vuole uccidere tutti”.

“Questa guerra - ha commentato Francesco - noi non la vediamo: si avvicina a noi qualche atto di terrorismo, ci spaventiamo ed è brutto, questo è molto brutto”. Ma “questo non ha niente a che fare con quello che succede in quei Paesi, in quelle terre dove giorno e notte le bombe cadono e cadono, cadono, e uccidono bambini, anziani, uomini, donne: tutto!”.

Non chiudere l’orecchio al grido del povero

“Se noi oggi chiudiamo l’orecchio al grido di questa gente che soffre sotto le bombe, che soffre lo sfruttamento dei trafficanti di armi, può darsi che quando toccherà a noi non otterremo risposte”. Per questo Papa Francesco ha esortato tutti a pregare oggi per la pace, chiedendo “che il Signore ci dia pace nel cuore, ci tolga ogni voglia di avidità, di cupidigia, di lotta”.

Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo

Sono 500 i rappresentanti di 26 confessioni religiose che hanno preso parte alla Giornata mondiale di preghiera per la Pace. Il Papa, accolto all’eliporto dal Vescovo Mons. Domenico Sorrentino, e dalle autorità, ha raggiunto il Sacro Convento di Assisi, dove ha incontrato il Custode Padre Mauro Gambetti; il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I; Abbas Shuman, vice Presidente di Al Azhar (Egitto); l’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby; il Patriarca Siro-Ortodosso di Antiochia Efrem II; il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni. Quindi, tutti insieme hanno raggiunto il Chiostro di Sisto IV, dove erano in attesa i delegati delle Chiese e Religioni Mondiali, ed i Vescovi dell’Umbria.

Il pranzo con i rifugiati

Nel refettorio del Sacro Convento hanno pranzato, insieme al Papa, 25 rifugiati provenienti da Paesi in guerra, ed attualmente accolti dalla Comunità di Sant’Egidio. Durante il pasto sono stati festeggiati anche i 25 anni di patriarcato di Bartolomeo I.

La sete di Gesù

“Ho sete” (Gv 19,28). La meditazione del Papa prende spunto da queste parole pronunciate da Gesù Crocifisso: “Di che cosa ha sete il Signore? Certo di acqua, elemento essenziale per la vita. Ma soprattutto ha sete di amore, elemento non meno essenziale per vivere. Ha sete di donarci l’acqua viva del suo amore, ma anche di ricevere il nostro amore”.

Nel Vangelo, alla sete di Gesù l’uomo risponde con l’aceto “che è vino andato a male”. Come, profeticamente, lamentava il salmista: “Quando avevo sete mi hanno dato aceto” (Sal 69,22).

L’Amore non è amato

Secondo alcuni racconti era questa la realtà che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realtà ci deve stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore.

Madre Teresa di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comunità, vicino al Crocifisso, fosse scritto “Ho sete”. Estinguere la sete d’amore di Gesù sulla croce mediante il servizio ai più poveri tra i poveri è stata la sua risposta. Il Signore è infatti dissetato dal nostro amore compassionevole, è consolato quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui. Nel giudizio chiamerà “benedetti” quanti hanno dato da bere a chi aveva sete, quanti hanno offerto amore concreto a chi era nel bisogno: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Quel grido d’aiuto spento con il telecomando

Le parole di Gesù ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la vita. Nel suo “Ho sete” possiamo sentire la voce dei sofferenti. “Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa”. Hanno sete. Ma a loro “viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto”. “Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro?” Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza “di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione”.

Sulla croce, albero di vita, il male è stato trasformato in bene; anche noi, discepoli del Crocifisso, siamo chiamati a essere “alberi di vita”, che “assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono al mondo l’ossigeno dell’amore”. Dal fianco di Cristo in croce uscì acqua, simbolo dello Spirito che dà la vita (cfr Gv 19,34); “così da noi suoi fedeli esca compassione per tutti gli assetati di oggi”.

“Come Maria presso la croce - ha concluso il Santo Padre - ci conceda il Signore di essere uniti a Lui e vicini a chi soffre. Accostandoci a quanti oggi vivono da crocifissi e attingendo la forza di amare dal Crocifisso Risorto, cresceranno ancora di più l’armonia e la comunione tra noi. «Egli infatti è la nostra pace» (Ef 2,14), Egli che è venuto ad annunciare la pace ai vicini e ai lontani (cfr Ef 2,17). Ci custodisca tutti nell’amore e ci raccolga nell’unità, nella quale siamo in cammino, perché diventiamo quello che Lui desidera: «una sola cosa» (Gv 17,21)”.

Il paganesimo dell’indifferenza

Nel discorso che è seguito alla Preghiera per la Pace Francesco è tornato sul tema dell’indifferenza che ha identificato come: “un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo dell’indifferenza”.

Non possiamo restare indifferenti: “Noi desideriamo dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza voce e senza ascolto. Essi sanno bene, spesso meglio dei potenti, che non c’è nessun domani nella guerra e che la violenza delle armi distrugge la gioia della vita”.

Noi non abbiamo armi

“Crediamo però nella forza mite e umile della preghiera”. In questa giornata, la sete di pace si è fatta invocazione a Dio, perché cessino guerre, terrorismo e violenze: “Cerchiamo in Dio, sorgente della comunione, l’acqua limpida della pace, di cui l’umanità è assetata: essa non può scaturire dai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre aride del guadagno a ogni costo e del commercio delle armi”.

Solo la pace è santa, non la guerra!

“Diverse sono le nostre tradizioni religiose - ha osservato il Papa - ma la differenza non è motivo di conflitto, di polemica o di freddo distacco. Oggi non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è purtroppo accaduto nella storia. Senza sincretismi e senza relativismi, abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri”. San Giovanni Paolo II in questo stesso luogo disse: “ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affermiamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda”. “Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!”.

Quel filo di speranza che collega la terra al cielo

“Pace, un filo di speranza che collega la terra al cielo, una parola tanto semplice e difficile al tempo stesso”. Pace vuol dire Perdono che, frutto della conversione e della preghiera “nasce dal di dentro e, in nome di Dio, rende possibile sanare le ferite del passato”. Pace significa Accoglienza, disponibilità al dialogo, superamento delle chiusure “che non sono strategie di sicurezza, ma ponti sul vuoto”. Pace vuol dire Collaborazione, scambio vivo e concreto con l’altro “che costituisce un dono e non un problema, un fratello con cui provare a costruire un mondo migliore”. Pace significa Educazione: “una chiamata ad imparare ogni giorno la difficile arte della comunione, ad acquisire la cultura dell’incontro, purificando la coscienza da ogni tentazione di violenza e di irrigidimento, contrarie al nome di Dio e alla dignità dell’uomo”.

In guerra tutti perdono, anche i vincitori

“Uomini e donne di religioni diverse  - è l’appello del Papa - siamo convenuti, come pellegrini, nella città di San Francesco. Qui, nel 1986, trent’anni fa, su invito di Papa Giovanni Paolo II, si riunirono Rappresentanti religiosi da tutto il mondo, per la prima volta in modo tanto partecipato e solenne, per affermare l’inscindibile legame tra il grande bene della pace e un autentico atteggiamento religioso. Da quell’evento storico, si è avviato un lungo pellegrinaggio che, toccando molte città del mondo, ha coinvolto tanti credenti nel dialogo e nella preghiera per la pace; ha unito senza confondere, dando vita a solide amicizie interreligiose e contribuendo a spegnere non pochi conflitti. Questo è lo spirito che ci anima: realizzare l’incontro nel dialogo, opporsi a ogni forma di violenza e abuso della religione per giustificare la guerra e il terrorismo. Eppure, negli anni trascorsi, ancora tanti popoli sono stati dolorosamente feriti dalla guerra. Non si è sempre compreso che la guerra peggiora il mondo, lasciando un’eredità di dolori e di odi. Tutti, con la guerra, sono perdenti, anche i vincitori”.

“Con ferma convinzione - ha proseguito - ribadiamo dunque che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso”.

Il Papa ha auspicato che si possa aprire finalmente “un nuovo tempo, in cui il mondo globalizzato diventi una famiglia di popoli”. “Si attui la responsabilità di costruire una pace vera, che sia attenta ai bisogni autentici delle persone e dei popoli, che prevenga i conflitti con la collaborazione, che vinca gli odi e superi le barriere con l’incontro e il dialogo”. Nulla è perso, praticando effettivamente il dialogo. Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. “Tutti possono essere artigiani di pace; da Assisi - ha concluso - rinnoviamo con convinzione il nostro impegno ad esserlo, con l’aiuto di Dio, insieme a tutti gli uomini e donne di buona volontà”.

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