“Città Metropolitana di Torino, quale sostenibilità?

Il Movimento Lavoratori di Azione Cattolica ne parla venerdì 11 marzo alle 20.45 presso la sede dell'Azione Cattolica di Torino in corso Matteotti 11 
 

                                                 

Parole chiave: azione cattolica (26), movimento (5), lavoro (167), torino (730), futuro (36)
 “Città Metropolitana di Torino, quale sostenibilità?

“Il suolo è una risorsa non rinnovabile e non si cura da solo,non dobbiamo essere padroni avidi ma custodi attenti: non è lecito sfruttare quanto ci è affidato, servono umiltà e saggezza nella salvaguardia , siamo responsabili della terra , delle sue risorse delle sue bellezze , che ci narrano la presenza di Dio e sono beni da condividere fraternamente” (Genesi, 2.15 coltivare e custodire la terra)

Il 19 marzo, festa di San Giuseppe Lavoratore, oramai è alle porte e, come da tradizione degli ultimi anni, il Movimento Lavoratori di Azione Cattolica intende celebrare San Giuseppe, con delle vere e proprie Feste, in cui fermarsi a riflettere sulla grandezza del modello e patrono dei lavoratori (momento anche locale di celebrazione degli 80 anni del movimento) il titolo quest’anno è ECO-LAVORO.

 L’ultima enciclica di Papa Francesco, Laudato sì sulla cura della casa comune, ci insegna, infatti, un nuovo approccio, quello della ecologia integrale capace di integrare nelle sue diverse dimensioni il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda. “In qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, è indispensabile integrare il valore del lavoro”
(LS, n. 1 24).
In questa sfida non siamo certamente soli! Insieme a Maria, Madre e Regina di tutto il creato, “nella santa famiglia di Nazaret, risalta la figura di san Giuseppe. Egli ebbe cura e difese Maria e Gesù con il suo lavoro e la sua presenza generosa, e li liberò dalla violenza degli ingiusti portandoli in Egitto. Nel Vangelo appare come un uomo giusto, lavoratore, forte. Ma dalla sua figura emerge anche una grande tenerezza, che non è propria di chi è debole ma di chi è veramente forte, attento alla realtà per amare e servire umilmente. Per questo è stato dichiarato custode della Chiesa universale. Anche lui può insegnarci ad aver cura, può motivarci a lavorare con generosità e tenerezza per proteggere questo mondo che Dio ci ha affidato” (n. 242).
Seguendo il tema dell’anno associativo in corso “Si alzò e andò in fretta” (Lc 1,39-56) e volendo dare eco alla Speranza, le nostre Feste  rappresenteranno un modo concreto per partire dalle nostre case, luoghi intimi e quotidiani dove “accade la salvezza” e, animati dalla passione per la città, attraversare le strade andando incontro all’altro nella concretezza della vita quotidiana e facendo memoria delle grandi opere del Signore nella nostra vita e nella storia.

Il tema del “consumo di suolo”, bene comune e ha scarsità assoluta, è da tempo alla attenzione dell’’opinione pubblica anche sul nostro territorio. Esso investe direttamente e indirettamente diverse dimensioni sociali, non ultime la dimensione stessa del lavoro che può certamente essere promosso da grandi opere ma che, occupando gradualmente il nostro territorio, finiscono con incidere non solo sulla natura, ma anche sui nostri stessi stili di vita.

Gli impatti del consumo di suolo sono davanti a tutti per la perdita di terreni naturali e agricoli, spesso fertili, di aziende e produzioni agricole, di cultura e tradizioni rurali, di biodiversità, di paesaggio agrario, ecc., per non parlare degli impatti drammatici, se la citata tendenza proseguirà inalterata, sul dissesto idrogeologico, sulle emissioni di gas serra e sui cambiamenti climatici. In tale contesto, si può convenire con quanti ritengono che il consumo di suolo abbia luogo più nel segno dell’arroganza, dell’abusivismo che non della necessità.

Se, dunque, è indispensabile che gli studiosi provvedano ad individuare parametri capaci di definire cosa correttamente abbia a intendersi per suolo e per consumo di suolo e che siano disponibili dati in grado di quantificare e qualificare le varie tipologie di consumo di suolo (aree edificate e relative pertinenze, da aree destinate a cave, discariche, componente di consumo legata alle infrastrutture viarie extraurbane), urgente è l’esigenza di ricercare, a fine di bene comune, l’equilibrio tra attività umane e “ragioni” del creato, di promuovere “moderne città sostenibili” e di privilegiare l’integrazione fra città e campagna e montagna e colline in un unico eco sistema nello sviluppo sostenibile.

Quali le molteplici cause delle disastrose alluvioni che interessano la nostra penisola? In sintesi: a) il cambiamento climatico, che non risparmia l’Italia ed Piemonte (1), generato dalle attività dell’uomo per la cui mitigazione/contrasto mentre l’Ue si pone per il 2013 nuovi ambiziosi obiettivi poco si fa a livello globale e quasi nulla in USA, Cina, India; b) l’abbandono da parte dell’agricoltura dei terreni meno fertili, situati in aree collinari depresse e montane; c) la fragilità geologica dell’Italia, che ha il 75% di suolo collinare e montuoso e il 50% del territorio sotto dissesto idrogeologico; d) la trasformazione di molti corsi d’acqua in canali con sponde cementificate, intombati sotto le strade e sotto le città, pieni di detriti non rimossi e che saltano in aria ad ogni “bomba d’acqua”; e) il sovradimensionamento dei Piani regolatori comunali, pensati senza guardare ai reali trend demografici e portati a costruire sul “nuovo” e non sul “costruito”, impinguando così i ridotti bilanci comunali con gli oneri di urbanizzazione; f) la mancanza dal 1942 di una legge sul suolo (di governo del territorio), quando già la più timida normativa sul contenimento (si noti: non azzeramento!) di consumo di suolo – che è bene comune e non bene di consumo – stenta ad essere approvata dal Parlamento per imponenti interessi di parte.  Il consumo del suolo in Italia (a causa di strade, autostrade, aree artigianali, industriali e commerciali, dispersione abitativa) è, in effetti, aumentato del 156% dal 1956 ad oggi, a fronte di un incremento della popolazione del 24%!. Tali dati mettono in luce le responsabilità dell'uomo (nostre) per catastrofi quali frane e alluvioni, che hanno causato la morte di quattromila persone negli ultimi 50 anni e danni valutati in 61.5 miliardi di euro dal 1944 al 2012. Ora, mentre l’abbandono del suolo è fenomeno potenzialmente reversibile, la cementificazione è fenomeno irreversibile e a elevato impatto ambientale, interessando i terreni migliori in termini di produttività e di localizzazione.

Il rispetto del suolo è il banco di prova del nostro stare al mondo, della nostra capacità di governo, tanto nel piccolo, quanto nel grande. Continuare a consumare suolo (ricordo la stima del rapporto ISPRA 2015: 5 m2/sec. in Italia) per costruire città all'infinito non significa solo aver smarrito il senso profondo del nostro rapporto con la natura, uscendo quindi da una dimensione ecologica per entrare in quella economica basata sulla massimizzazione del profitto individualistico, né solo rinunciare ai servizi e benefici che il suolo produce, ma significa anche perpetuare fino allo sfinimento un'idea di città indipendentemente dalla sua idoneità come luogo per vivere: 'Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura' (pt. 44).

In questa nuova stagione non c'è spazio per rigurgitare i modelli di ieri vestendoli di verde, ma occorrono prese di posizione nette. Non serve una legge che strizzi l'occhio alla tutela del suolo, ma rimandandone la attuazione a trenta mesi. Non serve una norma che scambi la tutela dei suoli con lo spostamento dei cosiddetti diritti edificatori da un posto all'altro. Né serve una norma che si periti di elencare le deroghe al consumo di suolo e decida mollemente di adeguarsi al dispositivo europeo che prevede lo stop del consumo di suolo al 2050, perché aspettare 35 anni per fermare questa macchina lanciata a tutta velocità è assurdo e da irresponsabili. Occorre agire subito e in modo netto. Occorre una rivoluzione culturale, come si dice nell'enciclica.

Non una rivoluzione culturale qualsiasi, ma coraggiosa (n. 114) in cui rimettere le cose al loro posto a partire dal fatto che le ragioni tecniche, le mediazioni politiche, le ragioni di chi vuole ancora sfruttare le risorse per produrre beni a proprio ed esclusivo vantaggio tornino a obbedire alla realtà naturale con i suoi principi naturali, e non viceversa. Se i nostri piani urbanistici sono imbottiti di cemento (e lo sono) o se la segmentazione delle funzioni amministrative ha prodotto dei mostri in fatto di gestione coordinata del territorio o se la nostra cultura per il suolo è debolissima, tutto ciò non può essere motivo per arrendersi o disegnare provvedimenti blandi o attuabili in là nel tempo, ma per prendere velocemente consapevolezza del grande lavoro che ci attende e dello strappo necessario che occorre fare subito a partire dalla resistenza che va esercitata verso l''avanzare del paradigma tecnocratico' (n. 111). È evidente che la politica ha la responsabilità di trasformare questa deriva in un nuovo corso, ma tutti noi abbiamo il dovere di fornire le ragioni e gli strumenti perché ciò si attui e dobbiamo sorvegliare incessantemente per vedere attuato quel disegno di tutela delle risorse ambientali che è assieme tutela della uguaglianza sociale e di una idea più umana di società.

Siamo invece noi, con le nostre domande, le nostre volontà, la nostra sovranità di cittadini e il nostro legittimo raggruppamento in associazioni a poter imprimere svolte e cambi di passo persino alla politica più sorda e agli interessi economici più biechi. Non è semplice ma può essere anche così che una comunità di cittadini si preoccupa del futuro, non si fa rubare l'identità e la sua storia, liberandosi 'dall'indifferenza consumistica' (pt. 232) e da modelli precostituiti per i quali la cura della natura è una cosa da deboli (n. 116).

Consumo netto di suolo zero. «Entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero nel 2050». Ma cominciare domani è già troppo tardi.

 

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