Politiche per il lavoro - LE NOSTRE DOMANDE

Diciassette candidati a Sindaco per Torino. In vista delle elezioni di domenica 5 giugno pubblichiamo brevi interviste a ciascuno di essi su temi di primo piano per il futuro della città. Approfondiamo il tema del lavoro: l'occupazione non decolla, non bastano turismo e cultura. 185 mila giovani "neet" senza fiducia e una crescente e diffusa povertà di molte famigliee, anziani e malati Leggi le risposte ai candidati sindaco

Parole chiave: elezioni (53), Torino (730), 5 giugno (13), candidati (9), lavoro (167)
Politiche per il lavoro - LE NOSTRE DOMANDE

Decine di migliaia di giovani senza lavoro a Torino, città in testa alla triste classifica della disoccupazione. Come intervenire? Sul sito www.lavocedeltempo.it è possibile, come già è avvenuto la scorsa settimana sul tema dell’immigrazione, confrontare le risposte a questa seconda domanda posta a tutti i candidati.

Nonostante gli sforzi annunciati per «cambiare verso», la fotografia sulla salute del nostro Paese, scattata dall’Istat nel Rapporto annuale 2016 e diffusa nei giorni scorsi -  proprio mentre la campagna elettorale per le amministrative entra nel vivo -  indica  che la strada è ancora in salita. Mercato del lavoro incerto, inflazione debole, spesa sociale inefficiente in una Italia dove siamo di meno e più vecchi, con le nascite al minimo storico; in quanto a spesa sociale è agli ultimi posti in Europa (solo la Grecia dietro di noi).

L’Italia dei figli insomma – hanno titolato i giornali in questi giorni – sta peggio di quella dei padri.  E proprio perché la mancanza del lavoro rimane uno dei nervi scoperti – nonostante la crisi economica sembri alle spalle – Torino soffre ancora proprio perché la nostra città, con un passato principalmente manifatturiero, è ancora legata alla forte caratterizzazione industriale del suo tessuto economico. 

Il tema non è soltanto economico ma certamente sociale e politico: il motivo vero e profondo per cui ci occupiamo di lavoro,  per la città come per la Chiesa, è la persona. La dignità delle persone, dei cittadini è il punto di partenza per ogni discorso sulla città. Per Torino basti pensare ai fenomeni di inurbazione attraverso due grandi ondate migratorie, la prima dalle campagne piemontesi – quella  con cui si sono confrontati i santi sociali torinesi nella seconda metà del 1800 - e poi da tutta Italia nel secondo dopoguerra.  Oggi siamo di fronte ad un nuovo fenomeno  epocale di migrazione: oltre chi lascia il suo Paese d’origine a causa delle guerre, oggi come ieri chi emigra lo fa per cercare un lavoro per migliorare la propria condizione e per dare futuro ai propri figli.

185 mila «neet»

Il tema del lavoro, allora, va affrontato guardando prima al suo senso sociale: la precarietà della vita, la difficoltà della famiglia che oggi anche a Torino come più volte ha sottolineato l’Arcivescovo (l’ultima volta martedì scorso nella festa di Maria Ausiliatrice) lanciando il tema dell’Agorà del Sociale, deve affrontare una nuova emergenza. Si tratta dei cosiddetti  «neet», i giovani (fra i 15 e i 34 anni)  che non studiano né cercano lavoro: secondo l'Istat in Piemonte sono 185 mila, poco meno di un quinto dei giovani della stessa età, la percentuale più alta fra le regioni industrializzate del centro Nord. E poi va considerata la questione economica in sé perché attiene alle scelte politiche che si fanno o non si fanno, e diventa quindi anche un criterio per giudicare candidati e programmi.

Ci sovvengono le parole del Papa, pronunciate durante la sua visita a Torino, domenica 21 giugno 2015. Francesco, non a caso, volle iniziare la sua giornata torinese in Piazzetta Reale con il mondo del lavoro: imprenditori, lavoratori, artigiani, sindacati, precari, disoccupati. E il suo discorso, riletto a poco meno di un anno, ci sembra ancora di grande attualità. Quasi un elenco di priorità per chi scende in campo per amministrare una città fortemente provata  dalla crisi economica e sociale, soprattutto nelle periferie a cui richiama tutti Francesco. 

«Il lavoro non è necessario solo per l’economia - diceva il Papa -  ma per la persona umana, per la sua dignità, per la sua cittadinanza e anche per l’inclusione sociale. Torino è storicamente un polo di attrazione lavorativa, ma oggi risente fortemente della crisi: il lavoro manca, sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali, tante persone si sono impoverite e hanno problemi con la casa, la salute, l’istruzione e altri beni primari. L’immigrazione aumenta la competizione, ma i migranti non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’iniquità, di questa economia che scarta e delle guerre…».

In questa situazione – invitava Francesco - «siamo chiamati a ribadire il ‘no’» a un’economia dello scarto, che chiede di rassegnarsi all’esclusione di coloro che vivono in povertà assoluta, a Torino circa un decimo della popolazione. Si escludono i bambini (natalità zero!), si escludono gli anziani, e adesso si escludono i giovani (più del 40% di giovani disoccupati)!… Siamo chiamati a ribadire il ‘no’ all’idolatria del denaro, che spinge ad entrare a tutti i costi nel numero dei pochi che, malgrado la crisi, si arricchiscono, senza curarsi dei tanti che si impoveriscono, a volte fino alla fame».

Ecco una prima indicazione «politica»: il lavoro è per la dignità della persona, un tema caro a papa Bergoglio,  tanto che, a Cagliari,  nel suo secondo viaggio in Italia dopo l’elezione, incontrando disoccupati e cassa integrati affermò che «non portare il pane a casa vuol dire non avere dignità». Parole che risuonano drammaticamente attuali secondo il Rapporto Istat 2016 dove si legge che in Italia sono 2 milioni 200 mila le famiglie che vivono senza redditi da lavoro: nel 2004 erano il 9,4% salite al 14,2% nel 2015. E nel Sud Italia raggiungono il 24,5%, quasi una famiglia su quattro.

E, nonostante i primi mesi del 2016 abbiano fatto registrare una lieve crescita grazie anche alla ripresa del settore automobilistico, l’area torinese continua a presentare soffrire, con dati di disoccupazione ben oltre il 10% e disoccupazione giovanile a quattro volte il dato medio, senza contare le decine di migliaia di «neet» a cui abbiamo accennato. I fattori che determinano questi risultati sono questioni complesse che vanno ben oltre il  tema amministrativo di una città o di una area metropolitana. Ma certo tutti gli analisti oggi ci ricordano che la competizione economica e produttiva è una competizione non solo di imprese ma di territori e di sistema. E certo la nostra area metropolitana è chiamata a considerare quale offerta di competitività sia in grado di portare. Si tratta dunque di attrarre non solo forza lavoro - che apparentemente arriva da sé- ma investimenti, attività, forza lavoro qualificata, capace di mettere in gioco i fattori.

Non solo competitivi

Chi governerà la nostra città nei prossimi anni ha il dovere di amministrare risorse per la competitività di domani e le emergenze dell’oggi. Ma anche un’ opportunità: di testimoniare valori e promuovere cultura che sappiano restituire dignità politica all’attività amministrava e localmente riavvicinare i cittadini al governo una di una oikos ed una polis – da cui ecologia e politica- che di fatto sono casa loro. Casa nostra. E qui ritornano le parole del Papa pronunciate il 21 giugno scorso ad indicare la strada: «In questa situazione, che non è solo torinese, italiana, è globale e complessa, non si può solo aspettare la ‘ripresa’. Il lavoro è fondamentale – lo dichiara fin dall’inizio la Costituzione Italiana – ed è necessario che l’intera società, in tutte le sue componenti, collabori perché esso ci sia per tutti e sia un lavoro degno dell’uomo e della donna. Questo richiede un modello economico che non sia organizzato in funzione del capitale e della produzione ma piuttosto in funzione del bene comune. È una sfida molto impegnativa, da affrontare con solidarietà e sguardo ampio; e Torino è chiamata ad essere ancora una volta protagonista di una nuova stagione di sviluppo economico e sociale, con la sua tradizione manifatturiera e artigianale... Per questo bisogna investire con coraggio nella formazione, cercando di invertire la tendenza che ha visto calare negli ultimi tempi il livello medio di istruzione, e molti ragazzi abbandonare la scuola». E citando come modello l’Agorà Sociale Francesco concludeva: «Oggi vorrei unire la mia voce a quella di tanti lavoratori e imprenditori nel chiedere che possa attuarsi anche un ‘patto sociale e generazionale’, come ha indicato l’esperienza dell’Agorà, che state portando avanti nel territorio della diocesi. Mettere a disposizione dati e risorse, nella prospettiva del ‘fare insieme’, è condizione preliminare per superare l’attuale difficile situazione e per costruire un’identità nuova e adeguata ai tempi e alle esigenze del territorio. È giunto il tempo di riattivare una solidarietà tra le generazioni, di recuperare la fiducia tra giovani e adulti». Questo implica anche «aprire concrete possibilità di credito per nuove iniziative, attivare un costante orientamento e accompagnamento al lavoro, sostenere l’apprendistato e il raccordo tra le imprese, la scuola professionale e l’Università».

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