La Bandiera del Silenzio continua la sua marcia tra le colline di Pontremoli

Una delegazione di Essere Umani e dell’Eremo del Silenzio incontra gli operatori e le giovani detenute dell’Istituto Penale per minorenni femminile nella provincia di Massa Carrara.

La Bandiera del Silenzio continua la sua marcia tra le colline di Pontremoli

Quando ci troviamo di fronte alla storica struttura detentiva delle “Nuove” di Torino, il sole non ha ancora fatto capolino dall’orizzonte, e il cielo è una vasta cupola azzurrina con sfumature di blu che si staglia fra gli alti condomini della città. Le auto sono ancora rare e ci sono alcuni mezzi pubblici che iniziano il loro turno lungo i viali alberati. Sguardi assenti con ancora la memoria del riposo davanti a loro.

Dopo esserci lasciati alle spalle la tangenziale di Torino sud imbocchiamo l’autostrada per Piacenza, pian piano le colline dell’astigiano iniziano a farsi più lievi, ci lasciamo alle spalle i castelli e i borghi ed entriamo nei campi dell’Emilia. Dopo una pausa per la colazione svoltiamo all’altezza di Parma e ci inoltriamo nella strada che conduce attraverso gli Appennini alla nostra destinazione: Pontremoli.

Pontremoli è una piccola cittadina di quasi settemila anime al confine tra tre giganti: la Liguria, L’Emilia e la Toscana. La provincia a cui fa riferimento è quella di Massa Carrara, anche se a ben osservarla questo paese dai contorni medioevali e barocchi sembra essere scampato all’ondata di modernizzazione che ha investito i principali centri urbani della nostra penisola. Il centro storico è collegato con il resto della città da alcuni ponti in pietra, sulle stradine si alternano giovani studenti, anziani al bar e animali domestici intenti nelle loro attività quotidiane. Un cane rimane a lungo seduto affacciato ad un balcone, osservando gli avventori che transitano sotto di lui, con fare curioso e guardingo.

Oggi ci siamo spinti fin qui per un motivo in particolare: Pontremoli ospita da diversi decenni un Istituto Penale, recentemente destinato alle detenute minorenni. Quando entriamo nella struttura il clima ci sembra sorprendentemente familiare, agevolati forse dal fatto che la struttura conta solo una trentina di agenti donne a rotazione e 18 ragazze detenute. Due poliziotte ci chiedono con disinvoltura i documenti per le consuete pratiche di registrazione.

Il direttore è un uomo sulla cinquantina dal volto solare e sincero, è abituato a lavorare in contesti molto più grandi, provenendo dall'Ufficio dei Servizi Sociali per i Minorenni di Torino. Ora è qui da solo e questi sono i primi mesi in cui si sta ambientando nella nuova realtà. Il suo è un ufficio semplice e asciutto, dove spiccano alcuni quadri colorati dipinti a mano, calendari delle forze di polizie e il volto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Ci parla di una realtà che negli anni ha visto numerosi mutamenti, dall’anno della sua fondazione fino ai giorni nostri. Una realtà, quella carceraria, a tratti riconosciuta dalla comunità locale e resa partecipe in certe occasioni delle feste e delle tradizioni locali. Un esempio: la festa dei Falò, con le fazioni medioevali di San Gemignano e San Nicolò divise su chi costruiva e bruciava il rogo più bello. Un soffio di storia che ha toccato in parte anche le vite di alcune ragazze detenute che hanno avuto (lo scorso anno) la possibilità di partecipare all’iniziativa (http://iltirreno.gelocal.it/massa/cronaca/2015/02/02/news/sfida-dei-falo-a-pontremoli-le-fazioni-divise-sul-rogo-piu-bello-1.10785370).

Nell’ufficio della direzione parliamo con gli educatori e raccontiamo il cammino della Bandiera del Silenzio in giro per il Nord Italia negli ultimi mesi, ripetiamo che si tratta di una iniziativa che va oltre il mero simbolismo e che vorremmo facesse parte di un percorso volto a rompere il silenzio grave che circonda gli istituti di pena e chi ci vive e ci lavora. Desideriamo dare voce alle storie, che vadano oltre le definizioni di “ragazzi e ragazze detenute”, e che rispondano al primo dei diritti che dovremmo avere come esseri umani: quello di essere chiamati per nome.

Il nome: ecco perché a turno incontriamo le quindici ragazze attualmente nella struttura; raccontando loro come è nata questa finestra e di come vorremmo consegnare questo testimone a Papa Francesco, nel corso della sua visita a Torino il 21 Giugno. Quasi tutte si dimostrano incuriosite ed interessate, fanno eco nei loro occhi le parole di “silenzio”, “rompere”, “famiglie”, “libertà” e ovviamente una su tutte “Papa Francesco”.

Firmano a turno il grande velo nero con il disegno dell’aquilone al centro, timidamente, senza gesti eclatanti o richieste da riportare. Molte sono poco più che ragazzine, ma si percepisce il peso di responsabilità e scelte che non sempre sono state libere di confutare. Scelte e ruoli in parte imposti dalla nostra società in parte da certe tradizioni. L’immagine che ci unisce è quella della responsabilità sul futuro.

Una delle certezze della giornata, mentre riprendiamo sotto il sole e il traffico dei tir la Piacenza-Torino, è ancora una volta la stessa voce ripetente: “Non finisce qui, è solo l’inizio della strada”.

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