La Parola di salvezza è gratuita

La parabola del Padre Misericordioso (Lc, 15,11-32) parte prima 

Parole chiave: chiesa (665), salvezza (5), vangelo (36), bibbia (12)
La Parola di salvezza è gratuita

La parabola del “figliol prodigo” o meglio, come viene ora chiamata, del “padre misericordioso” o del “padre modello”, è stata definita “la perla delle parabole”, “il Vangelo del Vangelo”.

Molto spesso questa parabola è stata letta come un cammino di conversione indicato ai discepoli. In realtà al suo centro c’è la teologia di Paolo, di cui Luca era collaboratore e medico, sulla giustificazione per la sola grazia di Dio e non per le opere della Legge, e la difficoltà da parte della componente giudeo-cristiana della prima Chiesa di accettare che fosse annunciata ai pagani una salvezza che non passava più dall’osservanza della Legge di Israele ma solo dall’adesione a Gesù. Fu un processo lento, laborioso e non certo indolore passare da una religiosità fatta di osservanza a prescrizioni e decreti a una Fede in un Dio Misericordia che gratuitamente salva tutti, ebrei e pagani, buoni e cattivi, giusti e peccatori.

Analizziamone la splendida dinamica. Sconcertante è l’atteggiamento del padre: “A una logica elementare la sua può apparire più incoscienza che bontà, ma egli rifiuta persino di indagare sui progetti, sulle intenzioni del secondogenito. Il suo comportamento rischia di essere tacciato di debolezza, è invece solo frutto di un grande (cieco) amore” (O. da Spinetoli).

Il padre della parabola  non fa nessuna minaccia, non lancia nessuna scomunica: gli lascia aperta la porta del suo amore.Il figlio prodigo, giunto al fondo del suo percorso di abiezione, è attirato dall’amore e dalla dolcezza della casa paterna, anche se neanche lui ha compreso fino a dove arriverà la bontà del genitore, e spera di poter rientrare in casa al massimo come servo. Letteralmente il testo afferma: “Essendomi alzato (anastàs) andrò da mio padre” (Lc 15,18): si usa il verbo anìstemi, il verbo della resurrezione, che in greco si dice anàstasis, e che il padre riprenderà al v. 24. Tornare al Padre è risorgere, e la resurrezione è proprio la partecipazione piena alla vita del Padre.

Ma perché decide di tornare? Per interesse: “Io qui muoio di fame!” (Lc 15,17). Siamo abituati a meditare su questa parabola prima del sacramento della Riconciliazione o in occasione di qualche liturgia penitenziale: ma “bisogna subito sfatare una mitologia che vede in questo "ritorno / rientro in sé" il principio di una conversione, al punto di presentare il "figliol prodigo" come modello del convertito. Non è così...! Il figlio non pensa al padre e al suo dolore, non è pentito di ciò che ha scelto e fatto. Egli, di fronte a tutte le porte chiuse, intravede una sola possibilità: usare e sfruttare ancora una volta il padre… Il momento della conversione è ancora lontano. Avverrà solo quando la gratuità di cui si era preso gioco lo avvolgerà del tutto nuovo: allora non avrà nemmeno bisogno di chiedere perdono, perché il perdono personificato dal padre lo aspettava già, prima ancora che lui partisse” (P. Farinella).

La salvezza non avviene per i nostri meriti ma solo per l’infinita misericordia di Dio!

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