Salendo verso Bagnatica

Una esperienza nelle terre bergamasche

Parole chiave: bagnatica (1), comunità (43), bergamo (3), cammino (16)
Salendo verso Bagnatica

In un pomeriggio invernale mi son trovata a sfiorare Bergamo: architettura, storia, musei, il borg Bèrghem de Sota, e la sità Bèrghem de Sura. Un attimo bergamasco, per subito calarmi a sud est, oltre l’aeroporto di Orio al Serio, tra i colli della Val Cavallina, ai piedi del Monte Tomenone, non troppo imponente con i sui 376 metri di altezza. E raggiungere Bagnatica.

Bagnatica non è una città pregevole, non riveste un ruolo importante nella storia o nella cultura, non colpisce per l’eccezionalità del paesaggio o delle bellezze architettoniche. Però è qui che ho avuto modo di fare esperienze nuove, perché la novità è nascosta, ma si palesa a chi sa ben guardare oltre il noto, oltre il proprio piccolo spazio.

Ho dipinto. Io, che sin da piccina ho avuto piena coscienza delle mie incapacità pittoriche, mi son trovata a dialogare con una tela vuota, e lei, piano piano, ha fatto risaltare figure, colori, movimenti.

Un’ora di esperienza di Closlieu, replica dell’idea innovatrice di atelier dell’educatore Arno Stern. Uno spazio racchiuso da muri, un’unica apertura chiusa da una tenda, raffigurazione di un utero in cui la vita sboccia lentamente, in cui tutto è ancora possibile, in cui la natura, con i suoi tempi e le sue precarietà, trasforma l’embrione in essere vivente autonomo. Così anche il Closlieu permette di far affiorare emozioni, capacità, vita. Il silenzio, la tranquillità, la mancanza di ordini e giudizi, la fiducia del servente, nel mio caso una preparatissima Stefania, mi han fatto sentire capace di trasformare il bianco in macchie colorate. Non c’è un input, un insegnamento, un compito da realizzare. Non si dipinge per mostrare, e il non giudizio mi insegna a non giudicarmi.

Riemergo dall’utero  pittorico per assistere a una partita di bask-in: uno sport dinamico e imprevedibile, in cui ognuno partecipa attivamente, utilizzando tutte le capacità che ha a disposizione. Il successo di squadra è realmente il frutto del gioco di tutti. Si imparano nuove comunicazioni, si interagisce con tutti i compagni, si stimolano i compagni con capacità ridotte: tutti devono dare un apporto concreto, nessuno è escluso. Contano i punti a canestro, ma fa certamente più punti la squadra che infila più volte la palla nel canestro e il cuore nelle mani dei compagni di gioco.

E la giornata termina conoscendo la SemperInsima onlus, che racconta il presente in modo consapevole per ottenere un futuro che sia vita e non morte.

Tre esperienze inclusive in una cittadina di nemmeno cinquemila abitanti: ma quanto c’è da imparare in questa nostra Italia?

  

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