Troppi Schettino al potere

Il processo ad uno, può essere occasione per riflettere sui molti. E su di noi.

Parole chiave: schettino (1), costa concordia (1)
Troppi Schettino al potere

Al Teatro Moderno di Grosseto, il Sostituto Procuratore della Repubblica Alessandro Leopizzi, nella sua requisitoria durante il processo Costa Concordia, ha accusato il capitano Schettino di aver abbandonato la nave «senza neanche bagnarsi le scarpe». Se la frase avesse un’intenzionalità descrittiva bisognerebbe interpretarla in maniera letterale. Anche assunta in modo metaforico, però, è altrettanto potente.

Il capitano Schettino è ormai diventato paradigma di un’Italia che non vorremmo essere. L’Italia degli schettini al potere: irresponsabili, narcisisti, incompetenti, arruffoni, inadatti al ruolo. In questo assurgerlo a paradigma, però, troppo facilmente si fa di lui un capro espiatorio. La conseguenza è che, pur dando sfogo alle aggressività represse, non si risolve il problema generale.

L’aspetto interessante di una nave è che è una città galleggiante. Diversamente dalle nostre città, però, una nave è una struttura gerarchica verticistica e monocratica. In essa tutto dipende dalla decisione e dalla responsabilità del capitano. Il quale a sua volta si sceglie dei collaboratori. La semplicità della rappresentazione è utile per mettere in chiaro la struttura formale del meccanismo.

In modo più o meno analogo funzionano tutte le strutture di potere: istituzioni dello Stato; Cda delle aziende; organismi di rappresentanza politica o sindacale o di categoria; diocesi e parrocchie. Il vertice, con maggiori o minori forme possibili di compensazione del potere, si contorna dei suoi collaboratori, con diverse forme di selezione. Spesso per somiglianza.

Il problema è al vertice: quali sono i criteri di selezione della leadership, con le conseguenze che questa scelta comporta? Quali sono i modi di controllo dell’adeguatezza delle leadership?

Al cospetto di molti degli organismi di potere e dei loro organigrammi che danno mostra di sé, e elevando la domanda a livello di sistema piuttosto che di singolo individuo, che pur avendo una sua potente forza simbolica (il caso di Schettino) rischia di rimanere solo un capro espiatorio, vengono in mente le parole di Leonardo Sciascia:

«Io» proseguì poi don Mariano «ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca  a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà…Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini…E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito….E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…» […]

«Perché sono un uomo: e non un mezz’uomo o addirittura un quaquaraquà?» domandò con esasperata durezza [il capitano Bellodi].

«Perché» disse don Mariano «da questo posto dove lei si trova è facile mettere il piede sulla faccia di un uomo: e invece lei ha rispetto…Da persone che stanno dove sta lei, dove sta il brigadiere, molti anni addietro io ho avuto offesa peggiore della morte: un ufficiale come lei mi ha schiaffeggiato; e giù, nelle camere di sicurezza, un maresciallo mi appoggiava la brace del suo sigaro alla pianta dei piedi, e rideva» (Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Adelphi, p. 93-94).

Di quanti di questi cinque tipi d’uomo sono composti i nostri organismi di potere? Non possiamo mai fare nulla per avere ai posti di vertice, non solo sperarlo, uomini che siano uomini e non gli altri quattro tipi?

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