Post-verità: realtà o interpretazione?

L'attendibilità dell'informazione nell'epoca di internet e dei social network

Parole chiave: postverità (1), verità (6), dibattito (8), idee (4), confronto (9)
Post-verità: realtà o interpretazione?

Sulle colonne di questo giornale, domenica 15 gennaio è stata pubblicata un’interessante analisi di Giorgio Agagliati sul tema della post-verità. L’articolo affrontava la questione con un’attenzione prioritaria alla dimensione comunicativa, concludendo, infatti, con dei suggerimenti «prudenziali» nell’uso di internet e dei social prima di accreditare la verità di una notizia. Proprio questo credo sia un altro aspetto della questione della post-verità, di natura più speculativa, sul quale richiamare l’attenzione: il problema della validità della nostra conoscenza.

Giustamente Agagliati afferma che dietro la questione della post-verità ci sono fenomeni antichi: la manipolazione dell’informazione; la calunnia e la creazione di false notizie, e la loro diffusione tramite internet e i social (è il caso Trump). Aggiungerei anche il gusto perverso della chiacchiera, del pettegolezzo, dell’esibizionismo, del dilettantismo e del pressapochismo. Tutti fenomeni che nella rete, nell’uso/abuso dei social trovano il loro brodo di cultura.

Con post-verità, però, si dice altro ancora. Secondo il dizionario di Oxford (www.oxforddictionaries.com) post-verità (post-truth) è un aggettivo «relativo a o che denota circostanze nelle quali fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare la pubblica opinione che gli appelli all’emotività e le convinzioni personali». La parola vorrebbe indicare quella distorsione cognitiva per la quale le emozioni sopravanzano sulla razionalità nell’attribuzione di verità ad un’informazione. Anche questo è problema antico mirabilmente sintetizzato in «ogni scarrafone è bello a mamma soja» (Pino Daniele). Oggi però, di nuovo, complicato da internet perché, come dice il musicista Brian Eno, «la grande promessa di Internet era che più informazioni avrebbero portato decisioni migliori. La grande delusione è che in realtà più informazioni comportano maggiori possibilità di confermare le credenze di ciascuno» («Corriere della Sera», 4/1/2017).

Il problema, dunque, è principalmente teoretico: quale rapporto fra realtà e interpretazione? Problema che si pone con Nietzsche, quando afferma, contro i positivisti, che «i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni» («Frammenti postumi», 1885-1887). Da questo grido di battaglia presero il via tutte le posizioni teoriche costruzioniste che annoverano molti rappresentanti illustri. L’elemento comune fra tutte è che la realtà è infintamente interpretabile e manipolabile dall’uomo. È ozioso affermare semplicemente che la realtà c’è prima delle nostre interpretazioni. Anche i costruzionisti più duri e puri lo sanno. Neanche Nietszche pensava che il cavallo che baciò fosse solo una sua interpretazione anche prima di essere oggetto delle sue effusioni.

C’è un nocciolo irriducibile della realtà che resiste alle nostre interpretazioni. Posso avere davanti a me un sasso e interpretarlo per rompere le noci (strumento); o porlo come indicazione del cammino (segno); o innalzarlo come piccolo menhir (simbolo). Ma appena lo mordo, mi rendo conto che non potrò mai interpretarlo come panino.

Tuttavia, è vero che tutta la realtà è da noi rivestita di significato. Introducendo una sua conferenza, il teologo e filosofo Bernard Lonergan affermò: «Il tema di questo saggio è il significato; un tema che, a prima vista, sembrerebbe assai secondario. Ciò che conta è la realtà. Ciò che importa è in primo luogo non il mero significato, bensì la realtà significata. Un’affermazione del genere è indubbiamente esatta, ma fino a un certo punto. Essa, infatti, implica, a mio parere, un abbaglio, in quanto non si tiene conto del fatto che la realtà umana, la materia stessa della vita umana per così dire, è non solamente significata, bensì in larga misura costituita dagli atti di significato» («Dimensioni del significato», 1965)

Come districarsi in questa selva oscura di fatti e interpretazioni? Si aggiunga un tassello di complessità. Lo scibile umano è ormai troppo vasto perché chiunque lo domini tutto. Anche gli specialisti non conoscono per intero e in egual modo tutto il loro settore. Nessun fisico conosce tutta la fisica; nessun medico tutta la medicina e via dicendo. Tuttavia, se non è possibile avere un «controllo del campo», è possibile avere un «controllo del processo», che è il medesimo in qualunque «campo».

Per conoscere dobbiamo cercare un ignoto a partire dal noto di cui disponiamo. E sull’uno e sull’altro possiamo esercitare l’atto più naturale dell’intelligenza: il domandare. Non possiamo sapere tutto, ma su tutto possiamo interrogare. Il domandare metodico rende l’acquisizione delle conoscenze un processo continuo, progressivo, autocorrettivo.

In ciò rivestono grande importanza le professioni dell’educazione: educare a porre domande, a rimanere in ricerca, senza accontentarsi di qualunque risposta e senza avere fretta di dare risposte. L’effetto dell’esercizio metodico dell’intelligenza è la revoca in dubbio di ogni autorità. Non basta che sia scritto su internet o che l’abbia detto chicchessia a proposito di alcunché: deve portarmi fonti, argomentazioni, dimostrazioni. Il tutto lo debbo poter accertare. L’esercizio metodico dell’intelligenza non delega giudizi e interpretazioni ma, con una certa ascesi, verifica e controlla.

Agagliati terminava il suo contributo con una serie di regole prudenziali. Esse possono essere trasformate in domande. E sono valide perché sono conseguenze operative di una struttura della conoscenza e della consapevolezza teorica che la realtà nella quale viviamo è sempre mediata dal significato, ma che non tutti i significati imposti sono coerenti con essa. Trump potrà anche dire che i messicani tolgono lavoro agli statunitensi e che bisogna costruire un muro a spese del Messico. Si può domandare se quei lavori gli statunitensi li farebbero; se il muro si può costruire; se il Messico è disponibile a metterci i soldi. Si pensi, dunque, quanto si potrebbe domandare a proposito di un muro nel Mediterraneo.

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