Pane e vino

I racconti di un'artista

Parole chiave: società (56), festa (30), vita (45), campagna (3)
Pane e vino

Ieri mattina ho fatto una passeggiata nelle colline del Monferrato. I campi di grano, pronto per la mietitura, erano gonfi di spighe bionde e felici; lì accanto, i filari verdissimi delle viti erano già addobbati di grappoli ancora verdi ma ricchi della promessa di una vendemmia abbondante e di un buon vino piemontese.
Il cielo terso e azzurro incorniciava, con i voli di rondini e i loro canti, una campagna ordinata e cordiale che porterà presto il pane e il vino sulle nostre tavole. E mi è venuto da essere felice e lodare Dio per aver scelto due cose così belle e così semplici, come il pane e il vino, per donarci la vicinanza più intima e senza fine del Dio-con-noi. Solo a un Dio poteva venire in mente di prendere il nostro umile pane e il nostro vino gioioso per poterci intessere di Sé e abitare il nostro corpo e il nostro spirito.

E proprio ieri pomeriggio è tornato al Padre un santo sacerdote, don Luigi Baf, che quel pane e quel vino ha consacrato per i sessanta lunghissimi anni del suo servizio divino. Anche lui era semplice e umile, buono e gustoso come il pane e il vino: generoso e forte come il pane che ci nutre, gioioso e festoso come il vino che ci rallegra. Per sessant'anni è vissuto sempre fedele all'Eucaristia, che celebrava con verità e fede, con quel brivido che coglie ogni sacerdote che si accorge di ciò che gli è affidato dalla misericordia di Dio, e di come le sue mani - mani da contadino e da muratore, quelle di don Luigi - possono diventare il tramite di una grazia immensa, misteriosa, infinita.

Don Luigi aveva quattordici tra fratelli e sorelle, figli di una mamma, una "mamica" come dicono gli istriani, che era donna forte, dal cuore immenso, dalla fede incrollabile. Aveva deciso di diventare sacerdote negli anni tormentati del dopoguerra in Jugoslavia, in cui i comunisti massacravano sacerdoti e semplici fedeli in odium fidei. Fra loro, era stato assassinato il giovane don Miro Bulesić, parroco del paese della mia mamma, Canfanaro, ucciso barbaramente all'età di soli ventiquattro anni. Luigi, allora ragazzino, si era sentito chiamato a prendere il posto di don Miro, e a donare, a sua volta, la vita alla Chiesa di Cristo.
Il suo ministero si era svolto in paesi della campagna istriana, nei quali don Luigi si prendeva cura della Chiesa e della chiesa: della Chiesa con la "c" maiuscola svolgendo con serenità, con il sorriso e con immensa cordialità il suo servizio sacerdotale, e delle chiese ristrutturando, una dopo l'altra, le parrocchie e le cappelle disseminate nei territori di cui si occupava. La prima volta che l'avevo visto, dopo che i miei erano suoi amici da anni, si trovava appollaiato su un campanile a vela di cui stava risistemando la muratura. Mattone dopo mattone, messa dopo messa, la missione di don Luigi sembrava uguale alle tante missioni dei tanti semplici e fedeli sacerdoti che rendono ricca la nostra comunità.

Finché, come un fulmine a ciel sereno, giunge il peggiore degli incubi. In concomitanza con la beatificazione di don Miro, qualcuno decide di "guastare la festa" alla Chiesa istriana che gioiva per questo momento così bello e grande. E prende di mira don Luigi, che viene calunniato con la peggiore delle insinuazioni che possano colpire un sacerdote: si sparge la voce che sia un pedofilo.

La diceria prende corpo, aumenta, viene amplificata dai mass-media. Da un giorno all'altro, a don Luigi viene tolta la parrocchia, parte un processo, i giornali gridano allo scandalo. Rimane solo, don Luigi, con gli amici che credono in lui e l'anziana sorella, che è sempre stata la sua affezionatissima "perpetua", ed ora è disabile perché le hanno dovuto amputare una gamba.

Vivono insieme anni tremendi, durissimi, in cui però don Luigi continua ad avere una serenità miracolosa, che ci sconvolgeva ogni volta. Noi piangevamo, al pensare a ciò che stava vivendo, senza alcun dubbio sulla sua totale innocenza e purezza; lui sorrideva, diceva "Dio provvederà", e celebrava le sue Messe con pazienza e amore nella sua cameretta, in povertà assoluta.

Finalmente, dopo proroghe, burocrazia, anni di vero e proprio calvario, giunge la piena assoluzione: i testimoni a carico hanno ritrattato tutto. Don Luigi può festeggiare, circondato dall'affetto dei suoi numerosissimi familiari ed ex-parrocchiani, nonché del clero istriano, il traguardo dei sessant'anni di sacerdozio.
Ieri, proprio alla vigilia del Corpus Domini, il suo cuore troppo stanco e affaticato da questi anni di dolore, non ce l'ha più fatta. Ora gli si apre quel banchetto che è preparato per tutti i servi "buoni e fedeli"; e il suo ultimo gesto per me è stato tipico della sua infinita generosità.

Lui, che viveva in povertà totale, aveva dato istruzioni alla sorella perché infilasse di nascosto, in un pacco di ottime provviste mangerecce donate ai miei genitori in occasione di un loro viaggio in Istria, una busta con cento euro per me. Non aveva alcun senso, questo dono, se non quello di una generosità assurda e di una gratitudine immeritata, solo perché avevamo creduto nella sua innocenza. Ma era tipico di questo sacerdote buono e "follemente", "irrazionalmente" capace di donare.

Grazie, don Luigi, per le migliaia di messe celebrate, per le migliaia di volte in cui hai accarezzato pane e calice e li hai offerti per noi; per le migliaia di volte in cui hai reso Cristo presente in mezzo a noi, nel semplice frutto delle spighe dorate e delle viti grevi di grappoli.

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