Migrare per vivere

Una condizione umana che ci interroga e chiama ad un senso di responsabilità e di progetto per il futuro

Parole chiave: migrazione (2), flussi (1), uomini (3), profughi (55), donne (15), emergenza (28), italia (221), europa (177)
Migrare per vivere

 Inizia un tempo di ricarica morale, spirituale, fisica, un mese, che tra ferie e vacanze, propone momenti di riflessione, lettura, pensiero e preghiera, prima della ripresa. Il nostro giornale si ferma, rimarrà attiva Lavocedeltempo.it, sia pure con cadenza ridotta, mentre torneremo in edicola, agli abbonati e nelle parrocchie il 6 settembre. Cosa troveremo tra poco meno di un mese è la domanda che ci poniamo nel nostro approfondimento settimanale.

Lo facciamo analizzando alcuni degli ambiti vitali: chiesa, scuola, lavoro, famiglia, politica e cultura. La domanda è quale futuro per il  nostro Paese, le nostre comunità. Serpeggia un sentimento di rassegnazione che permea la coscienza collettiva; siamo in presenza di una diffusa esigenza e spesso una necessità di fuga verso nuovi luoghi fisici e spirituali nei quali trovare possibili prospettive di realizzazione personale. Nonostante qualche segnale positivo, troppi sono ancora gli indicatori negativi: corruzione, un modesto senso civico, egoismi e particolarismi diffusi e una cronica incapacità di creare le basi di una duratura alleanza intergenerazionale.  Si pensa poco, studi senza grandi narrazioni ideali e sono davvero insufficienti i progetti di lungo respiro in campo politico, economico, sociale e culturale. 

 Se restiamo nel campo dell’occupazione dagli ultimi dati dell’attività ispettiva del Ministero del lavoro emerge che, nei primi sei mesi del 2015, emerge la contestazione di illeciti a più di 40 mila aziende, con un riscontro di irregolarità nel 59% delle imprese ispezionate e contestato l'impiego di oltre 18 mila lavoratori in 'nero' a livello nazionale. Si resta, dunque, se ci sono prospettive, legalità, senso civico e di responsabilità, futuro per le nuove generazioni; in caso contrario la nostra terra diventerebbe solo una comunità di passaggio in cui si appannano identità e progetti per l’avvenire.

E’ fondamentale ricordare come l’Italia non sia solo meta di immigrazione ma anche terra di consistenti flussi migratori. Da quando è scoppiata la crisi economica, è diventata anche un paese che centinaia di migliaia di persone lasciano in cerca di condizioni di lavoro migliori. Una ricerca del Centro studi «ImpresaLavoro», elaborata su dati dell’Eurostat, e rilanciata di recente dal settimanale «l’Internazionale» rileva che dal 2008 al 2013 sono emigrati 554.727 italiani, di cui 125.735 nel 2013: una crescita del 55 per cento rispetto al 2008. Il 39 per cento di chi ha lasciato il suo paese ha un’età compresa tra i 15 e i 34 anni.

La tendenza è in rapido aumento: rispetto al 2008 i giovani che hanno scelto di trasferirsi all’estero sono aumentati del 4 per cento.  Quasi tutti restano comunque all’interno dell’Unione europea, e questo è un dato importante che ribalta una certa concezione antieuropea alimentata da più forze politiche. L’uomo è fatto per migrare, trovare e cogliere occasioni di crescita ed emancipazione. Spesso emigrare vuole dire fuggire dalla morte, dalla guerra, dalla violenza, dall’odio e dall’intolleranza, ma è altrettanto vero che si parte per riuscire a raggiungere legittimamente realizzazioni personali, familiari e  generazionali. 
  

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