Liturgia, non sparate nel mucchio

La riflessione del padre gesuita Eugenio Costa

Parole chiave: liturgia (5), riforma (44), dibattito (8)
Liturgia, non sparate nel mucchio

Caro Direttore,

leggo su La Stampa del 5 ultimo scorso un’ennesima tirata riguardo alla musica che viene scelta e utilizzata nelle celebrazioni liturgiche. Pensavo che lamentazioni di questo tipo fossero ormai un pezzo da museo ma, come si vede, in realtà rinascono periodicamente dalle ceneri. Rientrano nel pacchetto delle critiche che «sparano nel mucchio», di cui si direbbe che diversi nostri quotidiani siano assai ghiotti. Siamo chiari: bisogna, per onestà, tranciare netto il capitolo delle purtroppo giustificate critiche a scelte insensate - anche se paiono spesso gradite ai più, clero compreso - che innestano nel rito la peggiore paccottiglia sia musicale che testuale, appesantendola a livello esecutivo con modi e vezzi da balera - dal capitolo del «dover essere», ossia degli orientamenti sani e pienamente liturgici, che sono  ripetutamente e strenuamente proposti dal Concilio in avanti, in nome della riforma liturgica (e Papa Francesco giunge a pennello, con la sua recentissima affermazione che non si ha più da invocare una «riforma della riforma»).

Sotto sotto, i mugugni di cui sopra mirano invece ad attribuire proprio alla riforma liturgica conciliare la responsabilità di tante meschinità, frivolezze, pretese e svarioni sia musicali che liturgici. Chi ha ricevuto una buona formazione liturgico -musicale non cade in questo disservizio, che mortifica la celebrazione e chi vi prende parte. Ma di questa formazione non fa certamente parte neppure un puro e semplice riavvìo di repertori nati non per la liturgia di oggi, né un seppur velato culto di personaggi che in epoche passate hanno operato in questo campo. Se si vuole contribuire, con una critica intelligente, a migliorare le situazioni della pratica musicale nella liturgia, occorre sempre dare una giusta direzione alle critiche, sulla base della linea maestra che deve orientare la presenza della musica e del canto nell’azione liturgica: come la parola e il gesto, canto e musica devono puntualmente far parte del rito, senza sfigurarlo ma anzi dandogli una marcia in più. È ovvio che i contesti culturali in cui avviene una celebrazione devono essere tenuti in gran conto, per non inserire repertori e pratiche musicali (moderne e/o antiche) proprie di un mondo diverso da quello della singola, concreta assemblea. Ma anche con questa attenzione è possibile operare scelte, e agire programmaticamente, in maniera da servire la liturgia e i fratelli.

Quello che io trovo disperante, è la presunzione facilona di molti operatori che non mettono a profitto i numerosi sussidi e strumenti di cui anche la Chiesa italiana oggi dispone: Uffici liturgici competenti (nazionale, diocesani), istituti, corsi e scuole, pubblicazioni e sussidi (fra cui un buon «Repertorio nazionale di canti»), luoghi e comunità che possono essere citati a esempio di un bel celebrare e un buon cantare.  Dunque: critiche costruttive, valorizzazione delle molto numerose comunità e assemblee che sanno «celebrare cantando», approfondimento instancabile degli orizzonti liturgici, discernimento implacabile delle situazioni culturali in cui ci troviamo a vivere e a celebrare.

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