La ferita di Goro

Cosa ci dicono le parole di rifiuto di una comunità italiana nei confronti dell'accoglienza 

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La ferita di Goro

Barricate, muri, ostacoli perchè?  La notizia dei cittadini di Goro e Gorino che si oppongono all'accoglienza di migranti rifiutati fa malissimo, è una situazione che deprime e fa pensare. Sui social, come ormai sovente accade, schiuma la rabbia di molti, si insulta e ci si erge a paladini della verità. Sarebbe meglio pensare e capire da cosa nasce questa paura atavica, come un pugno nello stomaco alle nostre certezze e conquiste. Chi sono questi uomini, donne e bambini? Non lo sappiamo più. Sovrastati dalla complessità dei problemi che la politica internazionale, europea e italiana non sa risolvere è proprio la paura a vincere la battaglia.

Non credo che tra i cittadini di Goro, fino a ieri molto nota per la sua bellezza e per aver dato i natali alla cantante Milva, ci sia un tasso elevato di razzismo, di ostilità, o di pre-compresione di un fenomeno troppo grande, troppo ampio al quale non siamo preparati e nessuno ci sta preparando. Ci si appella alla pietà umana, alla misericordia del Vangelo, ad un minimo di decenza convivenza civile. Tutto giusto, tutto onesto, tutto vero. Ma noi, ma io cosa sto facendo per cambiare. Cambiare la mia vita, il mio rapporto con tutto ciò che ci circonda e vive.

La Diocesi prende posizione e critica con durezza l'atteggiamento di chi si oppone. “Accogliere e integrare”: è il binomio necessario per affrontare le questioni legate all’immigrazione. Lo ribadisce monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, a proposito di quanto avvenuto ricordando che l’immigrazione “è uno dei temi nei quali il muro contro muro non serve, nemmeno per le decisioni”.

Sconcerto è stato espresso anche il direttore generale della Fondazione Migrantes, monsignor Giancarlo Perego: "Dodici donne e otto bambini, donne sole e con i propri figli hanno trovato all’arrivo al Comune di Gorino nel ferrarese – meno di 4mila abitanti, 1,6% di immigrati – la strada sbarrata e, soprattutto, le porte chiuse dell’ostello dove dovevano essere ospitati. È un episodio preoccupante, che avviene in una terra dove la solidarietà era sempre stata un elemento fondamentale anche perché dimostra una cattiva informazione sulle storie e le tragedie di chi sbarca; preoccupante infine perché dimostra l’incapacità delle istituzioni di preparare una comunità all’accoglienza, continuando ad improvvisare gli arrivi”. 

Se si approfondisce l'atteggiamento, senza giustificazioni, di questa comunità, in realtà, esiste un cortocircuito culturale ed antropologico che ci induce, secondo gli scenari ad essere solidali, oppure indifferenti, consumatori o diligenti critici produttori, accoglienti o tutti orientati a difendere diritti acquisiti. Come scrive un acuto osservatore, un giornalista schivo e profondo come Riccardo Maccioni: "...la cronaca di queste ore ribadisce l’ovvio, che cioè bene e male sono entrambi realtà con cui fare i conti. La sfida semmai è capire perché egoismo e paura sempre più spesso vincano sulla benevolenza e la fiducia".

Questo è il nostro destino, o usciamo da noi stessi, o esco da me stesso e dal mio egoismo e cerco di capire cosa sta accadendo, quale mondo stiamo costruendo, o tutto sarà perduto. Mi interessa diceva don Milani, ognuno deve sentirsi responsabile e coraggiosamente urlare contro le ingiustizie e i soprusi, i furbi e gli opportunismi, l'individualismo e l'egoismo. Altrimenti sarà molto facile scandalizzarsi per errori altrui senza provare a  cambiare nel profondo l'idea di una società chiusa in se stessa e senza speranza. 

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