Anna Frank, i danni di una doppia morale
La riflessione di don Gian Luca Carrega sul caso delle "foto" allo stadio: "non veicolare l'idea che esistano 'zone franche' dove si può spegnere la responsabilità individuale"
Non si placano le polemiche per gli adesivi e i volantini che nei giorni scorsi, durante la partita tra Lazio e Cagliari, alcuni tifosi biancocelesti hanno affisso su una vetrata della curva Sud dello Stadio Olimpico, nei quali Anna Frank veniva raffigurata con la maglia della Roma. Su questo grave episodio interviene con l’articolo che segue don Gian Luca Carrega della Pastorale della cultura della diocesi di Torino.
Per capire la faccenda, lo scandalo, la bravata (chiamatela come volete) degli ultrà laziali bisogna partire dalla foto. C’erano molte scritte sui muri dell’Olimpico, alcune con i soliti stereotipi di stampo sessuale («romanista frocio») e altre con l’arguzia tipicamente capitolina, rievocando la figura di Aronne Piperno, l’artigiano ebreo del Marchese del Grillo. Nessuno di questi insulti avrebbe ottenuto la ribalta mediatica. Ma l’immagine, quell’immagine, beh quella buca la pagina, soprattutto sui quotidiani stampati a colori. Il viso sbarazzino di Anna Frank in bianco e nero è una classica foto di metà Novecento, quelle che a volte ritrovi nella casa dei nonni tra le pagine di un romanzo pubblicato dai fratelli Treves. E la maglietta della Roma si stacca con un’evidenza straordinaria, è un photoshop persino un po’ grossolano ma di sicuro effetto.
Civiltà (o inciviltà, in questo caso) dell’immagine, certo. Ma ci sono due considerazioni che vorrei trarre da questo putiferio che, inevitabilmente, è uscito dai contorni calcistici per riesumare le carenze culturali ed educative del nostro Paese. Sono le reazioni di un tifoso, perché è da questo punto di vista che provo a leggere la situazione. La prima è il pericoloso scollamento tra ciò che formalmente risulta inaccettabile ma poi fa parte del vissuto quotidiano, nelle chiacchiere informali e nell’agone dei social. A livello educativo mi pare alquanto discutibile passare il messaggio che in alcuni ambiti sia permesso tutto quello che in forma ufficiale viene ritenuto sconveniente. Una doppia morale rischia di fare più danni di una morale debole. Per questo non credo che i tifosi debbano considerati come una massa di decerebrati che va rieducata, ma che sia necessario non veicolare l’idea che esistano delle ‘zone franche’ dove si può spegnere la responsabilità individuale e agire come branco.
La seconda è che lo stile del ‘politicamente corretto’ ha creato delle sacche di resistenza aggressiva che si alimentano nel sottobosco e diventano più devastanti quando vengono allo scoperto. Lo sfottò non pare più tollerato, ma di fatto genera un odio ancora più profondo. Personalmente non ho nessun problema ad ammettere che le sconfitte della squadra che gioca a Venaria mi rallegrano molto e che i loro cortei festeggianti, purtroppo numerosi in questi anni, mi deprimono parecchio. La Juve è il mio avversario, ma non il mio nemico. Ciò che grido contro di loro allo stadio fa parte di un rito, ma si conclude lì. Mi pare invece che nello sport come nella politica si tenda a coltivare un risentimento che va oltre i confini dell’evento e che cerca ogni mezzo per fare del male all’altro. Romanisti ed ebrei diventano due categorie disprezzabili ‘a prescindere’, dunque perché non metterli assieme? Il vero problema non è tanto chi finisce nella categoria dei reietti (gli ebrei, i froci, i negri, ecc.) ma un modo di ragionare che contrappone noi/loro: fino a quando esisterà la casella del Diverso tenderemo sempre a farci rientrare qualcuno.
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