Cristiani perseguitati finalmente si muovono le Nazioni Unite

L'iniziativa di Ban Ki-moon che vuole coinvolgere la diplomazia internazionale in una azione di contrasto al terrore globale

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Cristiani perseguitati finalmente si muovono le Nazioni Unite

Il grido dei cristiani e delle altre minoranze perseguitate in Medio Oriente è arrivato (finalmente) all’Onu al Consiglio di sicurezza. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ritiene che «le atrocità commesse contro le minoranze dallo Stato islamico richiedono una risposta urgente. Occorre porre fine all'impunità» di quei massacratori del Califfato. E il patriarca caldeo cattolico Louis Raphael Sako è esplicito: «La primavera araba ha avuto conseguenze dannose per i cristiani» in quasi tutti i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.

Ban ki-moon assicura che «le Nazioni Unite stanno mettendo a punto un piano d'azione per la prevenzione dell'estremismo violento e la protezione delle minoranze in Medio Oriente. Lo lanceremo a settembre». Ma la situazione sul terreno è tragica adesso, anzi da vari mesi: settembre sembra un po’ lontano. Aggiunge il segretario generale: «Sono profondamente preoccupato per le migliaia di civili alla mercé dello Stato islamico. I suoi miliziani uccidono sistematicamente quanti appartengono a minoranze etniche e religiose che non condividono la loro interpretazione distorta dell’Islam e chiunque si opponga alla loro visione apocalittica. Infieriscono sulle donne e sui bambini con un brutalità inenarrabile. Distruggono simboli religiosi e culturali che fanno parte del patrimonio dell'umanità».

L'iniziativa - voluta dalla Francia, presidente di turno del Consiglio di sicurezza - è la prima risposta ufficiale a questo livello della comunità internazionale alla persecuzione che dall'estate scorsa colpisce i cristiani e le altre minoranze nei territori dell'Iraq e della Siria invasi dallo Stato islamico.

Il piano d’azione punta sulla collaborazione dei capi religiosi per fronteggiare il Califfato. L’iniziativa si ricollega a quattro obiettivi illustrati da Laurent Fabious, ministro degli Esteri francese: 1) la questione umanitaria «non può essere solo assistenza, deve prevedere la possibilità di ritorno degli sfollati nelle proprie case»; 2) questo presuppone la sicurezza che «le forze irachene e quelle della coalizione» dovranno garantire alle minoranze; 3) oltre l’emergenza, bisogna far sì che Iraq e Siria tornino a essere luoghi aperti a tutte le comunità; 4) portare davanti alla Corte penale internazionale i responsabili dei crimini commessi in questi mesi.

La sessione al Palazzo di Vetro si era aperta con due testimonianze drammatiche. Il Patriarca caldeo Sako ricorda come «la cosiddetta primavera araba ha presentato un conto molto pesante alle comunità cristiane del Medio Oriente»; chiede alla comunità internazionale azioni concrete affinché alle minoranze venga garantita almeno «una zona protetta»; denuncia il volto violento «delle correnti estremiste islamiste che rifiutano di vivere insieme ai non musulmani»; aggiunge che «la pace e la stabilità non possono essere ottenute solo per via militare»; sottolinea le difficoltà dell’educazione dei bambini e dei giovani esposti a un indottrinamento fanatico.

Poi parla la deputata yazida Vian Dakhil, la parlamentare irachena che nell’agosto 2014 raccontò gli orrori dell’attacco delle nere bandiere del Califfato contro la minoranza yazida: «Tremila ragazze sono state vendute a 18 dollari l’una dai jihadisti». Vengono i brividi a pensare cosa hanno fatto a queste ragazze.

L’ambasciatore Sebastiano Cardi, rappresentante permanente dell’Italia all’Onu, assicura l’impegno del nostro Paese nell’assistenza sanitaria e psicologica, nella ricostruzione delle scuole, nel reinserimento educativo e sociale a favore dei cristiani in Iraq.

Preoccupazioni analoghe vengono espresse da mesi dal Papa e dai rappresentanti cattolici. L’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, l'arcivescovo Silvano Tomasi, parlando al Consiglio per i diritti umani sulla  situazione in Siria, evidenzia in particolare il problema delle migliaia di «bambini fantasma» tra i rifugiati siriani: figli di esuli nati nei campi profughi senza poter essere registrati e per questo esposti al rischio di abusi di ogni genere.

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