Suore domenicane ad Erbil: Isis sta uccidendo il nostro futuro

Suor Diana, una suora domenicana di Santa Caterina da Siena, dice: “Isis sta uccidendo il nostro futuro, perché se questa generazione non riceverà un’istruzione non ve ne sarà un’altra”

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Suore domenicane ad Erbil: Isis sta uccidendo il nostro futuro

Ormai a distanza di quasi un anno ancora suona drammatico e straziante il racconto delle suore domenicane di Erbil, una cittadina situata al Nord dell’Iraq, a Nord-Est rispetto a Baghdad.

“La mattina del sei di giugno molte bombe sono cadute su Karakosh. Il sette agosto abbiamo iniziato gradualmente a capire che i Peshmerga, che avrebbero dovuto proteggere Karakosh, si stavano ritirando lasciando la città non protetta. Siamo rimasti tutti scioccati perché il governo curdo aveva promesso di difendere Karakosh e le altre città cristiane. Allo stesso tempo, ISIS ha cominciato ad avvicinarsi alla città e i residenti non hanno avuto altra possibilità se non abbandonarla. Come comunità, in brevissimo tempo eravamo pronti a partire; abbiamo preso il minimo con noi ignari di cosa servisse e senza essere in grado di comprendere quello che stava realmente accadendo”. 

In quella notte di sangue sono partiti in 120 mila dalla Piana di Ninive per trovare rifugio in Kurdistan; intere famiglie hanno abbandonato tutto e sono partite senza neppure prendere i documenti. L’angoscia e la paura di non sapere cosa aspettarsi si percepiscono dalle parole delle sorelle domenicane che con un’ultima Eucarestia hanno pregato il Signore che proteggesse la casa e la città.

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Le strade erano invase da macchine e famiglie in fuga e le religiose hanno camminato fino al mattino seguente, senz’acqua e con una temperatura di oltre 40 gradi. Ma non erano sole:  altre città hanno condiviso lo stesso orrore. I cristiani provenienti da quindici paesi tra i quali Karamles, Bartela, Bashiqa, Telkaif, Baqofa, Batnaya, Telusquf sono stati costretti a lasciare le loro case perché l'ISIS stava avanzando.

“E' impossibile da descrivere, in quanto le parole non possono bastare. Uomini, donne incinte, bambini, handicap e anziani stavano dirigendosi verso Erbil. C'erano cristiani, musulmani sciiti, Yezeds e Shabak; alcune persone erano a piedi, alcuni erano sopra dei pick-up, camion e motociclette”.

Il tragitto che di solito durerebbe un’ora e mezza circa, in quell’occasione durò oltre dieci ore. Un lungo esodo di incertezza e terrore. Vite stravolte in quel 7 agosto 2014. Che cosa sarà di noi? Quale sarà il futuro dei miei figli? Sono queste alcune delle domande di un popolo che paga il “peccato” del suo credo con la propria vita.

L’appello delle sorelle domenicane di Erbil è ed è stato: “Fermate l'oppressione, fermate la violenza. Siamo esseri umani qui: smettete di renderci bersagli delle vostre armi. Il mondo ha bisogno di costituirsi come uno che protegge le minoranze contro il male e l'ingiustizia. La gente vuole vivere una vita normale in pace e dignità. Vi preghiamo di aiutarci a fermare il male!”.

Dal giugno 2014 ad oggi, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato oltre 7milioni e 300mila euro.  La fondazione ha approvato inoltre due nuovi progetti: un contributo di 2 milioni di euro, per finanziare sei mesi l’affitto di alloggi per i rifugiati cristiani, ed uno di 690mila euro per l’acquisto di pacchi viveri per 13mila famiglie cristiane in Kurdistan.

Per ricordare l’anniversario della fuga dei 120mila cristiani dalla Piana di Ninive, il 6 agosto ACS lancerà una campagna internazionale sui social network, affinché nessun male venga mai dimenticato da nessuno!

È possibile aderire alla campagna attraverso gli hashtag #PrayForIraq e #WeAreChristians

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