«Perché Torino si specchi nella Chiesa di Francesco»

Echi del convegno della Facoltà Teologica sull'Evangelii Gaudium. Lungo colloquio con don Roberto Repole, preside della Facoltà e presidente dell'Associazione dei teologi italiani

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«Perché Torino si specchi nella Chiesa di Francesco»

Dal novembre 2013, quando è stata pubblicata l'Esortazione apostolica di Papa Francesco «Evangelii Gaudium», il cammino di riflessione e approfondimento sul documento ha coinvolto sacerdoti, religiosi e laici in tutte le Chiese del mondo. Un percorso che a Torino ha visto dedicare al documento numerosi incontri: assemblee diocesane, giornate di formazione del clero, serate organizzate da parrocchie e movimenti. Un percorso che il 5 e 6 dicembre scorsi ha avuto una tappa importante in due giornate di convegno organizzato dalla Sezione Torinese della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale in collaborazione con gli uffici di pastorale della cultura, liturgico, catechistico e missionario della diocesi su «Siamo sempre discepoli-missionari - Quali conversioni per evangelizzare oggi?». Con don Roberto Repole, preside della Facoltà torinese e presidente dell'Associazione Teologica Italiana, abbiamo ripreso alcuni stimoli offerti dal convegno, individuando spunti che l'esortazione apostolica offre in questo momento storico alla nostra diocesi.

Torino riflette sull'Evangelii Gaudium, ma quale è il contesto in cui si inserisce l'Esortazione?

L'Evangelii Gaudium giunge anche per la nostra diocesi in un momento in cui si tratta di avviare con decisione un nuovo recupero del Concilio Vaticano II e una nuova recezione di alcuni aspetti sui quali l'Esortazione pone un particolare accento: la concezione di Chiesa come Popolo di Dio e la concezione di Chiesa strutturalmente missionaria, come già il decreto Ad Gentes evidenziava: «La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine» (AG, 2). Si tratta di riprendere questa scia di rinnovamento seguendo un cammino che coinvolga tutti i soggetti ecclesiali e di provare a ripensare la realtà della Chiesa sulla base della centralità dell'annuncio del Vangelo e della missione in un contesto non a se stante, ma in collaborazione e dialogo fecondo con la società civile e le diverse culture.

Un percorso di trasformazione che non può non coinvolgere la Teologia...

Certamente il pensiero teologico è chiamato a riformulare la fede, a ripensare il volto di Dio, la realtà stessa della Chiesa, in modo che il Vangelo ridiventi udibile e sia significativo per la vita delle persone. Se l'Evangelii Gaudium è un invito a ritornare al cuore del Vangelo, questo oggi comporta uno sforzo teologico soprattutto nelle nostre culture segnate dalla fine della cristianità e da profonde trasformazioni culturali. Credo che l'Esortazione possa essere un forte stimolo per la nostra Chiesa torinese, possa rappresentare un criterio di fondo per la ristrutturazione che stiamo affrontando. Una ristrutturazione deve seguire dei principi; e il principio di una Chiesa in uscita perché diventi credibile per gli uomini e le donne che abitano nel nostro territorio è oggi fondamentale per ripensare la valorizzazione delle risorse che si hanno.

Chiesa in uscita, missionaria, in un contesto dove però sembra che le chiese si svuotino. Non c'è contraddizione?

Bisogna riprendere confidenza con l'idea che i confini della Chiesa non siano solo quelli determinati dai momenti o dagli ambienti in cui come cristiani ci raduniamo (ad esempio, nella celebrazione dei sacramenti). La Chiesa non si dà solo nel momento in cui ci si raccoglie e ci si riunisce, ma i suoi confini sono anche dati dal suo espandersi nelle diverse realtà di questo mondo, negli spazi socio-antropologici nei quali normalmente vivono i cristiani, soprattutto i cristiani laici. Bisogna abituarci a pensare ad una Chiesa diffusa nelle realtà del mondo. I cristiani vivono nelle famiglie, nel mondo della cultura, della scuola del lavoro, delle tensioni sociali, della politica... ed è importante che la Chiesa prenda consapevolezza di esistere anche laddove ci sono dei cristiani che abitano questi luoghi. Così cambierà anche il momento in cui la Chiesa si raccoglie, perché questo non sarà più un chiudersi su se stessa, ma un momento di confronto di quella fede vissuta nel mondo. Questa è la sfida della sinodalità, una sfida che richiede uno stile nuovo e nuovi spazi per avviare percorsi di fede e di confronto in un contesto pluralista.

Una Chiesa diffusa comporta anche un'innovazione nel linguaggio, che non è più quello da «addetti ai lavori». Anche su questo l'Evangeli Gaudium individua un percorso.

Una Chiesa missionaria che abita i luoghi del mondo impone uno sforzo per cercare di esprimere il Vangelo nella sua essenzialità. Termini come salvezza, volto di Dio, destino dell'umanità devono essere ripensati, come viene espresso al numero 41 dell'Esortazione: «Allo stesso tempo, gli enormi e rapidi cambiamenti culturali richiedono che prestiamo una costante attenzione per cercare di esprimere le verità・di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità». Bisogna dunque che tutti nello sforzo dell'annuncio, ci chiediamo innanzi tutto quanto il Vangelo sia veramente significativo per le nostre esistenze di cristiani, quanto sia davvero vitale per noi. In questo papa Francesco ci indica la strada, rimettendo il Vangelo al centro del pensiero teologico.

Comunità che si interrogano sul Vangelo, ma per le quali oggi la via dell'annuncio imporrebbe anche una riorganizzazione interna...

Le nostre comunità dovrebbero diventare policentriche affinché tutte le competenze siano valorizzate, e per garantire la corresponsabilità di tutti. Pensiamo ai nostri organismi di partecipazione, ad esempio ai consigli pastorali: oggi chi coinvolgono? Catechisti, operatori della carità, della liturgia... ma bisogna tenere conto anche di altri e diversi carismi, di diverse competenze. Come dicevo prima bisogna pensare a quella comunità cristiana diffusa che abita il mondo della scuola, quello della cultura o della politica e occorre coinvolgere e valorizzare chi si muove in questi ambiti, sfuggendo alla logica della «rivendicazione degli spazi». Credo che una categoria che può essere adatta a favorire questo cambiamento di mentalità sia quella del dono. Il dono implica sempre una reciprocità: penso all'altro che lo accoglierà con le sue diversità, così anche noi dobbiamo pensare di essere «Chiesa popolo nei diversi popoli», popolo che si arricchisce nel confronto, nel donare il Vangelo agli altri. Questo dinamismo deve caratterizzare l'annuncio evangelico, deve diventare lo stile dell'incontro. Spesso anche nelle nostre parrocchie non diamo spazio agli altri, perché la logica del potere tocca tutti, mentre la freschezza del Vangelo ci invita a fare spazio. Le parrocchie rischiano di essere luoghi di piccoli e grandi poteri, mentre devono essere spazi di fraternità...

Evangelii Gaudium chiede una conversione che parte dunque anche dall'interno delle nostre piccole e grandi comunità.

Occorre guardare con profondo realismo alla realtà ecclesiale: i nostri progetti pastorali devono fare i conti con la realtà delle comunità cristiane. C'è bisogno di confronto, di camminare insieme.

A livello diocesano, come è emerso anche al convegno, si percepisce la necessità di creare luoghi di confronto per la nostra fede. Se da un lato è importante che la teologia continui il suo percorso di ricerca e di confronto con i contesti che cambiano, dall'altra la teologia deve sempre più sentirsi a servizio del Popolo di Dio. Sarà importante dunque cercare di trovare momenti informali, come ad esempio presentazioni di libri, per favorire questo dialogo tra teologia e contesti culturali, per alimentare quella che a Torino si percepisce essere una buona recettività verso gli stimoli ad essere Chiesa in uscita.

Chiesa in uscita, Chiesa che annuncia guardando al futuro, ma i giovani, che saranno il futuro della nostra Chiesa oggi sono i più difficili da coinvolgere.

Anche su questo occorre fare una riflessione. Se non puntiamo ad una scelta realmente prioritaria dei giovani e alla loro formazione, non ci saranno un domani quei cristiani adulti capaci di portare la Chiesa nelle realtà del mondo. Se ci accontentiamo di una pastorale degli eventi rischiamo di coinvolgerli superficialmente: ora ci sono, ma domani non avranno strumenti per affrontare una società secolarizzata; e non potranno essere cristiani in un modo libero e responsabile.

Nel cuore dell'Evangelii Gaudium c’è anche il tema dei poveri, un tema che nella Torino dei Santi Sociali, non può passare inosservato.

Uno dei pericoli dello stile di Francesco è che le sue espressioni pragmatiche diventino, sulla nostra bocca, slogan e formule retoriche. I poveri sono i protagonisti dell'annuncio perché il Vangelo è parola di Misericordia, è annuncio di un Dio che si prende cura delle sofferenze e delle ferite delle persone. Francesco denuncia l'idolatria che crea scarti. La nostra Chiesa, in tutti i suoi soggetti, deve fare su questo un esame di coscienza. Come singoli abbiamo bisogno di chiederci se non rischiamo di essere idolatri. Dobbiamo ritrovare quello spirito della «Camminare insieme» del cardinale Pellegrino, dobbiamo ricordarci che le nostre strutture devono essere funzionali all'evangelizzazione e non è il loro mantenimento il nostro fine. Dobbiamo ricordarci che il Vangelo ci riporta a occuparci dei poveri non per questioni sociologiche, ma perché il posto dei poveri è nel cuore di Dio.

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