Tibet, via di speranza per fermare il genocidio

Scenari e prospettive per il futuro del Tibet, convegno a Palazzo Lascaris

Parole chiave: Tibet (1), genocidio (5), cina (12)
Tibet, via di speranza per fermare il genocidio

Scenari e prospettive per il futuro del Tibet sono gli argomenti trattati al convegno organizzato a Torino dal Consiglio regionale del Piemonte, intitolato “Tibet oggi... per non dimenticare”.

Nel suo intervento introduttivo Daniela Ruffino, vicepresidente dell’Assemblea, si è soffermata sull’ infinita tragedia  di  questo  popolo  che  si sta  perpetrando,  nell’indifferenza del  resto  del  mondo,  da  oltre  da sessantasei anni.

Al tentativo  di  cancellare  l’identità culturale  e  religiosa  del Tibet ha guardato anche Giampiero Leo, vicepresidente del Comitato regionale per i Diritti umani, che ha sottolineato "come la situazione in cui oggi versa il popolo tibetano sia praticamente dimenticata, un po' a causa dell'immane tragedia del terrorismo fondamentalista, un po' per lo strapotere del governo cinese. E' estremamente importante allora che qualcuno contribuisca a tenere accesa la fiammella della speranza per un popolo spogliato di quasi tutto e da così lungo tempo". 

Leo in particolare ha evidenziato che ciò che è stato fatto subire al Tibet e al suo popolo è uno spaventoso sopruso che ripugna alle coscienze di tutte le persone libere e amanti della libertà, della pace e dei diritti umani.

Il programma ha previsto anche la preghiera del Lama Shartrul Rinpoche, poi ci sono stati gli interventi del giornalista scrittore Piero Verni, che ha parlato della religione e della politica nel Tibet sotto la Cina; Franco Ricca, già direttore del Museo di Arte orientale (Mao) di Torino, che ha voluto trattare l’approccio occidentale al Tibet; e Bruno Portigliatti, che ha trattato una pagina di storia ancora poco conosciuta. È stato poi dato spazio anche al Lama Paljin Tulku Rinpoche.

I lavori ancora una volta hanno fatto emergere la necessità di ricercare la soluzione per un dialogo efficace con la Cina, per permettere al popolo del Paese himalayano di vivere libero nel suo territorio.

Il 23 maggio 1951 la Cina usò il “Trattato di liberazione pacifica”, firmato dal giovane Dalai Lama, per attuare il piano di trasformazione del Tibet in una colonia cinese, senza tener conto della forte resistenza del popolo di Lhasa. Il 9 settembre 1951 segnò la fine dell’indipendenza tibetana.

Dopo l’invasione cinese, oltre 1,2 milioni di tibetani sono stati uccisi, circa 6.000 monasteri e templi distrutti. Oggi le autorità cinesi applicano ogni metodo per discriminare il popolo tibetano e distruggere ogni traccia della sua cultura.

Vivendo in un mondo globale e interdipendente - è stato infine ribadito nel corso del convegno -  gli interventi e le opinioni di altri Paesi possono aiutare il popolo tibetano a trovare la giusta via per fermare il genocidio da parte del regime di Pechino.

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