Gruppo Abele: migranti come schiavi

Gruppo Abele e Migrantes sulla tratta dei migranti, sempre più sfruttati dai malavitosi

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Gruppo Abele: migranti come schiavi

Il Papa ricorda di non arricchirsi sulle spalle dei poveri, dei bisognosi, dei deboli. C’è però chi, senza scrupoi, sugli ultimi crea un vero e proprio business. La tratta degli esseri umani è sempre più una miniera d’oro per la malavita e lo sfruttamento sui luoghi di lavoro. A evidenziare il problema mercoledì 10 dicembre alla Fabbrica delle E di Torino, un convegno promosso dal Gruppo Abele e dalla Fondazione Migrantes, in cui si è discusso proprio de “Le accoglienze al maschile delle vittime di tratta e grave sfruttamento sui luoghi di lavoro”.

Da una ricerca portata avanti dall’Associazione fondata da don Ciotti su 23 realtà italiane che si occupano di uomini vittime di sfruttamento, emerge un fenomeno che non conosce età né nazionalità.

Gli uomini arrivano principalmente dall’Africa, dal Pakistan, dal Bangladesh, dall’India, dalla Cina, dall’Afghanista, dal Brasile, dal Salvador, dalla Siria. Il più delle volte hanno contratto un debito con gli strozzini già prima di partire, un debito, che varia dai 300 ai 50.000 euro, per raggiungere quella che credono essere la loro America. Per garantire che i soldi vengano restituiti, ovviamente con gli interessi, i migranti sono sottoposti a minacce, ritorsioni e, in alcuni paesi africani, anche a riti voodoo. Reclutati dagli stessi connazionali, ad aspettarli in Italia non trovano quasi mai pasta, pizza e mandolino, ma baracche, roulotte e casolari abbandonati. Trovano lavori senza tutela, mal retribuiti (quando la paga arriva), con orari di lavoro sfiancanti e privi delle basilari condizioni igieniche. Secondo i risultati dell’indagine, le aree occupazionali in cui lo sfruttamento è più diffuso sono la ristorazione, la distribuzione, la logistica. Al Nord gli immigrati vengono usati anche per lo spaccio di droga o il volantinaggio, mentre al Sud molti vengono impiegati nell’installazione di pannelli fotovoltaici.

«Nel settore agricolo il 24% dei lavoratori è assunto in nero, nella ristorazione il 20% - spiega monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes -. Nel campo della cura agli anziani i dati sono più bassi, circa il 15%, ma solo perché non c’è capacità di monitorare il fenomeno. Ancora oggi non sappiamo esattamente quanti badanti lavorino nel nostro Paese: occorre spostare l’attenzione dalla campagna alla casa, un mondo più impenetrabile e difficile da controllare. Nel mondo dell’edilizia le percentuali sono scese dal 20 al 12%, ma bisogna considerare che il settore è stato investito da una forte crisi. Comparto da monitorare è poi quello dei lavoratori marittimi, dove ci sono violenze gravissime e molte persone scompaiono senza che se ne sappia più nulla. Non bisogna poi dimenticare le agromafie – ricorda -; queste non operano solo al Sud. Sono trascorsi cinque anni dai fatti di Rosario e dal nostro osservatorio notiamo che la situazione è peggiorata, ma a fronte di questa evidenza le denunce stanno diminuendo. Qualcosa non va negli strumenti di segnalazione».

Serve quindi un lavoro a più livelli, che coniughi il discorso economico con quello politico e culturale. «Occorre una legge – dichiarano più volte durante il seminario – che consenta di far incontrare domanda e offerta di lavoro in maniera puntuale e al riparo da strumentalizzazioni»; servono maggiori controlli; occorre una sensibilizzazione e un’educazione alla legalità; servono programmi di assistenza per le vittime. «Oggi l’opinione pubblica considera normali alcune situazioni di sfruttamento, ma la crisi non può giustificare tutto».

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