Cure palliative e dignità della vita

L'intervento dei vescovi europei contro l'eutanasia

Parole chiave: cura (9), malattia (19), persona (5), dignità (16)
Cure palliative e dignità della vita

Mentre si allunga l’elenco dei paesi europei in cui si discute a livello politico e sociale della opportunità di concedere ai malati terminali il diritto all’eutanasia, arriva dal Gruppo di lavoro sulle questioni etiche della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) un documento su “Le cure palliative nell’Ue”, come a indicare che se per alcuni accompagnare i malati terminali può significare dare la possibilità di anticipare la morte con l’eutanasia, esiste la possibilità di un accompagnamento medico, psicologico e sociale che rende degna la vita di chi soffre fino alla fine, offrendo sollievo al loro dolore fisico, ma anche al logoramento psicologico e spirituale. Le cure palliative sono frutto “di grande umanità, manifestano la solidarietà della società con i suoi membri provati, la presa in carico della loro vulnerabilità e il riconoscimento della loro dignità”, si legge nel documento. La preoccupazione è che l’accessibilità a questo tipo di cure sia garantita in tutti i paesi dell’UE e a tutti i malati, con un’attenzione ai più vulnerabili (bambini, anziani ospiti di case di riposo).

Tale tipo di cure infatti viene solitamente erogato attraverso strutture e percorsi, hospice e cure a domicilio in particolare, che non sempre, o non in misura adeguata, sono previste dai servizi sanitari nazionali. È urgente attrezzarsi anche in relazione all’invecchiamento che le nostre società registrano e al numero sempre maggiore di persone con malattie croniche. Le 30 pagine del documento Comece ritracciano la genesi di questo ramo della medicina a partire dall’esperienza della dottoressa inglese Cicely Saunders che nel 1967 aprì il primo “hospice” per malati di tumore terminali. Riconosciute dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa come “servizio essenziale per la popolazione” nel 2003, dal 2008 sono un servizio presente in tutti gli stati membri dell’Ue, anche se a volte solo sotto forma di “una manciata di iniziative” che non rispondono ai bisogni. Le cure palliative, fornendo sollievo al dolore, “affermano la vita e considerano la morte come un processo normale, senza volerla affrettare o ritardare” spiega l’Organizzazione mondiale della sanità: non “cure terminali” o “accanimento terapeutico” o appunto eutanasia, quindi, ma “terapie di supporto” in cui, oltre ad alleviare il dolore fisico si offre un “accompagnamento” adeguato per la sofferenza emotiva, interiore, esistenziale, precisano gli esperti Comece.

Ne consegue ad esempio che nell’uso della “sedazione in fase terminale di una malattia” occorre vigilare che non si tratti “di pratiche sedative che non evitano solo le sofferenze, ma accelerano deliberatamente la morte, cosa che meriterebbe loro la qualifica di atti di eutanasia”. O ancora, nel caso del ricorso ad ansiolitici per “alleviare l’inquietudine e l’angoscia” di questi malati terminali, occorre farne un “uso prudente e ragionato” perché non arrivino ad “impedire che il paziente possa esprimersi e si possa restare in relazione con lui”. In Italia, è la legge n. 38 del 15 marzo 2010 che riconosce “il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore”. Stando all’ultimo Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione di quella normativa (marzo 2015) “il sistema di offerta di cure palliative è in costante crescita in tutto il paese”, con le solite “sensibili differenze tra le realtà regionali” e 231 hospice presenti sul territorio nazionale (13 in Piemonte) mentre i servizi di assistenza domiciliare, seppure in aumento, registrano ancora dei vuoti.

 

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