Missione: a Withefield in India le periferie al centro

La testimonianza di due ragazze torinesi che la scorsa estate hanno prestato servizio presso la comunità delle suore del Cottolengo nei sobborghi di Bangalore in India, che offre accoglienza a tutto campo a bambini e ragazze nella fragilità, ridonando loro un futuro

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Missione: a Withefield in India le periferie al centro

Un’estate nelle periferie geografiche ed esistenziali di Bangalore in India. È l’esperienza vissuta lo scorso agosto da due ragazze torinesi, Francesca e Silvia, che in collegamento con l’Ufficio missionario diocesano hanno prestato servizio presso il Convento delle suore del Cottolengo di Withefield alla periferia di Bangalore, capitale dello stato federale del Karnataka a sud dell’India.

Una zona da sempre poverissima e arretrata che negli ultimi anni ha subito forti cambiamenti conseguenti all’insediamento di numerose industrie tecnologiche americane ed europee quali HP, IBM, Deloitte, Shell. Ciò ha trasformato Bangalore in una metropoli di oltre 8 milioni di abitanti e il sobborgo poverissimo di Withefield ha subito un miglioramento delle condizioni di infrastrutture e servizi, prima del tutto assenti (bus, ospedali, palestre, ristoranti, college informatici).

La comunità di 10 suore cottolenghine, tutte indiane, è impegnata a tutto campo nella tutela e nella formazione dei bambini e dei giovani considerati scarti della società, come disabili, ragazze in condizione di fragilità, offrendo loro opportunità di istruzione, l’unica vera arma per costruire un futuro nel proprio Paese.

Di cosa si occupano le suore nella comunità di Withelfield?

«Si possono distinguere essenzialmente tre tipi di attività – raccontano Francesca e Silvia - oltre naturalmente alla preghiera, all'accompagnamento spirituale e al servizio parrocchiale: la scuola, l’accoglienza di ragazze con disabilità mentali o orfane e un centro medico di riabilitazione e fisioterapia».

«La ‘Special School’ – spiegano - è formata da classi speciali che accolgono bambini dai 3 ai 15 anni circa con  problemi di apprendimento, di memoria e disturbi dell’attenzione, sindrome di down, iperattivi, disabilità mentali che, per legge, non possono frequentare scuole pubbliche o private ma solo appunto la special school!».

Il programma di studio di tali classi è stabilito dal Ministero della Scuola del Governo indiano e periodicamente i bambini sostengono degli esami riconosciuti paritari.

La retta per la frequenza a scuola è regolata da ogni famiglia a seconda delle proprie possibilità; «per esempio – raccontano - talvolta si vede all’ingresso della scuola un ‘tuk tuk’, tipico mezzo di trasporto orientale, carico di frutta e verdura per l’intera comunità, si tratta del contributo della famiglia contadina di Danush alla sua educazione scolastica».

L’insegnamento a questi circa 90 bambini è curato dalla suore e da alcune volontarie locali.

«Per esempio Francesca (che si è trattenuta in missione per 3 mesi!) ha insegnato informatica ad alcune classi; mentre noi ci siamo occupate di preparare delle dispense educative».

È poi presente una residenza permanente di ragazze con disabilità mentali orfane o abbandonate dalla famiglia di origine, che attualmente accoglie circa 40 giovani.

«Alcune di queste ragazze – evidenziano - frequentano la scuola, altre ne sono impossibilitate causa la grave malattia e quindi, sono seguite costantemente dalle suore, svolgono dei piccoli lavoretti quale la produzione di borse di carta, aiuto in cucina nel pulire le verdure, innaffiare il giardino, lavare i pavimenti, naturalmente con i loro tempi ma, l’assegnare loro un compito/ruolo, le responsabilizza e esalta la loro autostima».

«Momento importante della vita di comunità – proseguono le ragazze - è il pranzo: in un grande refettorio tutti i bambini insieme, circa 90, con grande gioia, dopo aver ringraziato il Signore, mangiano tutti insieme».

Imponente dunque il lavoro delle 10 suore, dalla preparazione dei pasti (90 a pranzo + 40 a cena circa), alla scolarizzazione, alla fisioterapia, alla gestione della comunità oltre alla costante preghiera quotidiana che inizia alle 6.30 con la Messa.

«La presenza quindi di volontarie straniere – affermano - che apportano il proprio contributo, seppur minimo e temporaneo, nelle attività domestiche (dal fare la spesa allo stirare i panni, alle commissioni anche banali ma necessarie), nelle attività scolastiche (produrre dei cartelloni formativi, delle dispense al computer utili per le lezioni future, predisporre slide per canti e attività ricreative), nella fisioterapia nel seguire con gioia e entusiasmo i progressi giornalieri dei bimbi disabili, è di gran supporto per le suore e per i bambini che amano chi canta, balla e gioca con loro».

Ogni bambino e ogni ragazza si considerano amati e non uno scarto, dimenticato da tutti.

La Provvidenza è cuore della comunità. «Sono numerose le  famiglie che vengono al convento a condividere un festeggiamento famigliare (per esempio un compleanno o l’anniversario di un evento) con le ragazze del boarding; oppure a portare degli indumenti; così come il sostegno materiale di un supermercato locale che dona frutta e verdura tre volte a settimana per il sostentamento della comunità».

«La nostra esperienza è stata breve – concludono - ma molto intensa, ci rimarranno nel cuore i sorrisi e gli abbracci dei bambini con i quali spesso risulta difficile comunicare verbalmente e soprattutto la dedizione totale delle suore che, ognuna a modo suo, nel rispetto del loro carisma, compiono il loro servizio talvolta superando ostacoli apparentemente impossibili da superare. Vivendo tale vita di comunità abbiamo potuto apprendere il significato di Provvidenza e di Amore che si concretizza qui in tanti modi: l’Amore si tocca veramente con mano!».

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