"La mia Aleppo con 900 ragazzi tra macerie e speranze"

Intervista a don Pier Jabloyan, salesiano, in visita a Torino all'Istituto Agnelli

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"La mia Aleppo con 900 ragazzi tra macerie e speranze"

Io sono un salesiano di Don Bosco e sto dalla parte di Gesù». Non vuole parlare di politica, non vuole esprimere giudizi di parte sul conflitto che sta insanguinando Aleppo, troppo pericoloso, troppo rischioso quando può andarci di mezzo la vita e la sicurezza delle centinaia di ragazzi che ogni giorno frequentano l'oratorio salesiano nella città siriana. Don Pier Jabloyan, salesiano di Aleppo, in Italia per qualche tempo, il 21 novembre ha trascorso la giornata all'Istituto Agnelli di Torino, per raccontare i dolori e le speranze della sua terra, il senso dell'opera di don Bosco sotto le bombe. Lo abbiamo intervistato.

Com’è oggi la situazione ad Aleppo?

È una situazione complessa, non si può liquidare la guerra in Siria in due parole. Non è una guerra di religione tra sciiti e sunniti, anche se la religione c'entra, non è una guerra per motivi economici, ma i motivi economici c'entrano, non è per il controllo geopolitico, ma anche per quello, secondo me, per capire la guerra sirana si deve tenere conto di tutto questo... è una guerra mondiale, che si svolge in un paese che era bellissimo e che per me ancora lo è.

Un paese che oggi vediamo allo stremo, ma che non era povero.

Aleppo era una città industriale con più di 4 mila fabbriche. Si diceva che ad Aleppo puoi fabbricare tutto: dai bottoni della camicia a quelli dei computer; stavamo bene... poi è arrivata la «primavera araba» e giorno dopo giorno è sempre più inverno. Non ci si preoccupava del freddo: c'erano i ricchi e i poveri, ma non si stava così male. Aleppo aveva quattro milioni e mezzo di abitanti e ora il 45% della città è distrutto.

E la gente?

Le persone scappano, noi cerchiamo di dare una mano a chi resta, ma è difficile. Per chi è qui è scontato infilare il caricabatterie del cellulare in una presa e trovare corrente o aprire un rubinetto e vedere scorrere l'acqua. Ad Aleppo non è così: ci sono le persone agli angoli delle strade con dei generatori che vendono per due euro la settimana uno o due ampère che servono per una o due lampadine al massimo. L'acqua manca e la gente ricorre a dei pozzi che non sono sempre potabili, ma se uno ci pensa è disumano che ci sia qualcuno che chiude apposta l'erogazione dell'acqua a migliaia di persone. Per non parlare del gasolio, indispensabile per scaldarsi, che ha raggiunto prezzi assurdi. Mancanza di acqua, di luce e di gas sono comunque ancora sopportabili con soluzioni di fortuna, ma non la mancanza di sicurezza, è questo che induce a scappare, perchè sai che nessun luogo è sicuro. Milioni sono i rifugiati e non bisogna cadere nell'errore di pensare che siano 'turisti', persone uscite dal paese con leggerezza, sono uomini e donne che non ce la facevano più.

Restano ancora a fare le spese dell'insicurezza centinaia di persone, adulti e bambini.

Abbiamo avuto dei ragazzi feriti, altri sono morti, alla fermata dell'autobus, in casa, mentre camminavano per strada. Venerdì un colpo di mortaio ha raggiunto il giardino del nostro oratorio e per fortuna anche questa volta il Signore ci ha protetto e nessuno è stato colpito. Suor Arcangela delle suore di San Giuseppe dell'Apparizione, infermiera in ospedale ogni giorno accoglie bambini e adulti feriti da colpi di mortaio che cadono a tutte le ore, alcuni si salvano, molti non sopravvivono e anche lei resta non per eroismo, ma per stare con chi non può partire, per testimoniare la fiducia in una pace che si attende nel dolore, ma che si continua a sperare.

Speranza, parola che contrasta con immagini di morte e desolazione: palazzi sventrati dove restano a provocare lo sguardo di chi li osserva segni di una vita che lì non può più continuare. Armadi aperti, cassettiere che spuntano intatti tra le macerie di case senza più pareti nè tetti... segni di una normalità interrotta che proprio nell'oratorio salesiano ai confini con Aleppo Est, si cerca di mantenere e alimentare.

Abbiamo 900 ragazzi e la nostra sfida con loro è essere un oratorio salesiano come quelli sparsi in ogni parte del mondo per dare loro ancora fiducia e speranza. Cerchiamo di fare con loro le cose «normali»: quest'anno abbiamo anche noi parlato della Misericordia, nonostante la fatica di viverla in un contesto come quello della guerra. Abbiamo mandato 5 giovani alla Giornata mondiale della gioventù e ne abbiamo organizzata insieme alle chiese locali una giornata per sentirci comunque vicini al Papa che ricorda spesso l'amata Siria. Abbiamo fatto l'estate ragazzi e i campi scuola portando i ragazzi in una zona della Siria più tranquilla, affrontando 9 ore di viaggio, proprio nei giorni in cui Aleppo è stata sotto assedio e per i ragazzi il ritorno nella loro città ancora più distrutta è stato davvero terribile. Eppure tanti genitori vedendoli felici con noi ci hanno detto di aver rinunciato ad andare via... Cerchiamo ogni giorno qualche pretesto per fare un po' di festa: un compleanno, un bel voto a scuola... qualunque cosa per evitare lo scoraggiamento, per mantenere vivo il cuore dei ragazzi. Hanno bisogno di fare festa perchè ormai pensano che tutto il mondo è contro di loro, perchè si sentono soli.

I Salesiani di Aleppo aiutano i ragazzi, sostengono anche le famiglie con pacchi viveri, dando la possibilità di pagare un po' di gasolio o di luce.

Piccole cose unite allo sforzo di annunciare il Vangelo che anche nel nostro contesto ci dice di non rispondere con odio e violenza. Abbiamo celebrato la Solennità di Cristo Re dell'Universo e la tentazione di invocare un Dio 'forte' capace di spazzare via tutto, l'abbiamo sperimentata... in realtà Aleppo ci insegna invece ogni giorno il senso dell'essere cristiani, di essere testimoni di un Dio che ha espresso la sua potenza sulla croce. Crediamo e speriamo nella pace per la nostra Aleppo, una pace possibile anche grazie alle preghiere che chiediamo a quanti seguono le nostre vicende. Da fuori non c’è nulla che si può fare se non la preghiera in cui noi crediamo e per questo viviamo nella sofferenza e nella guerra, ma già progettiamo e pensiamo ad un futuro in cui tutto questo sarà finito.  

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