In Pakistan e a Torino, via di integrazione

Parlano le suore Domenicane di Santa Caterina da Siena che portano avanti progetti di vicinanza e integrazione nel quartiere Vallette di Torino e in Pakistan, a Lahore, non lontano dal luogo del feroce attentato terroristico il giorno di Pasqua

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In Pakistan e a Torino, via di integrazione

Appena vedono arrivare suor Barbara ecco che il pallone si ferma nel cortile dell’oratorio Santa Caterina da Siena in via Sansovino nel quartiere Vallette alla periferia nord di Torino. I «suoi» ragazzi, che in molti etichettano come «i ragazzi di strada», sanno che ogni pomeriggio c’è un momento per loro, cinque minuti per chiacchierare, ascoltarsi, confrontarsi. «Suor Barbara perché si uccide in nome di Dio?» – chiede uno dei ragazzi di un gruppo formato da italiani, stranieri, di famiglie di origine cristiana, musulmana, con diverse storie alle spalle, che vagando per il quartiere hanno trovato una «casa» proprio nel cortile dell’oratorio parrocchiale.

Ed ecco che vediamo arrivare un uomo nord africano che dice di avere necessità di medicinali per sua moglie che ha appena partorito, e a casa gli altri bambini hanno la febbre. «La accompagno al punto di ascolto – afferma con un sorriso accogliente suor Barbara - poi mi raccomando passi dal nostro Cav (Centro di Aiuto alla Vita)».

È una scena quotidiana della vita delle tre sorelle Domenicane di Santa Caterina da Siena che dal 2012 prestano servizio presso l’omonima parrocchia di Torino dove hanno una propria casa sempre aperta all’ascolto delle periferie del quartiere.

Una giornata in buona parte simile a quella delle proprie consorelle pakistane che operano a Lahore non lontano dal luogo del feroce attentato che nel giorno di Pasqua ha spezzato un giorno di festa lasciando nella disperazione centinaia di famiglie, con morti e feriti, sia cristiani che musulmani.

«Due nostre consorelle hanno perso dei familiari – afferma suor Maria Lilian, priora provinciale in Pakistan – per l’esplosione e altri sono rimasti feriti. Un atto mostruoso che ha ucciso cristiani e musulmani, con i loro figli: erano tutti insieme in allegria».

«Il nostro carisma nei luoghi dove operiamo è quello di testimoniare Gesù Risorto – sottolinea suor Barbara Bonfante – attraverso un servizio di vicinanza, ascolto, accoglienza, di non giudizio. Una presenza attenta a rispettare i tempi delle persone perché il Signore la verità non la svela solo ai cristiani cattolici, ma è veramente aperto a tutti nello stile di san Domenico».

Le tre sorelle sono a servizio della parrocchia del quartiere Vallette dal 2012, dopo essersi trasferite dalla clinica Villa della Regina e dal Seminario Minore di viale Thovez. «Oggi operiamo in una zona che ci sfida per le nuove povertà – afferma suor Barbara – dove poniamo al primo posto l’accoglienza».

La congregazione opera in Europa, Africa, America Latina e Asia con oltre 70 case.

In Pakistan la comunità è presente dal 1930, oggi conta 14 case con 70 suore tutte pakistane e una italiana anziana.

«Cerchiamo di rendere le missioni il più indipendenti possibile il prima possibile – afferma suor Bonfante – perché è chi appartiene alla comunità locale che riesce a gestire meglio la missione all’interno della cultura».

«In un Paese integralista dove i cristiani costituiscono il 2% della popolazione, una ‘super minoranza’ – racconta la religiosa – abbiamo scelto di non fare differenze tra cristiani e musulmani. La convivenza possibile si può fare sui valori e sui principi educativi perché tutti condividiamo gli stessi. Ed essi rappresentano il punto di comunione da cui partire per un cammino condiviso».

In Pakistan le suore domenicane si occupano soprattutto di educazione e istruzione, ma anche di cure sanitarie negli ambulatori e dispensari nei villaggi delle campagne, dove non arrivano i medici, o dell’accoglienza dei bambini ammalati di poliomielite. Soprattutto offrono assistenza medica alle donne, che spesso non hanno accesso alle cure.

«Gestiamo scuole inglesi di 1000-1500 alunni ciascuna – racconta suor Bonfante –  nelle città frequentate per la maggior parte da musulmani. Nei villaggi abbiamo costruito scuole Urdu, la lingua locale, frequentate prevalentemente da cristiani che non hanno accesso alla scolarizzazione. Cerchiamo di stare più vicino possibile ai cristiani e a chi subisce attentati. Tutti i giorni c’è una persecuzione latente contro i cristiani di cui i media riferiscono solo in caso di attentati di gran portata, come quello del giorno di Pasqua».

«Si lavora sull’integrazione – commenta – a partire dalla scolarizzazione e dall’educazione, l’avvenire del Pakistan. Il futuro del Paese passa proprio dai ragazzi che frequentano le nostre scuole e che crescono insieme nella comunità, qui sta il punto di integrazione. La vita in Pakistan non è semplice, come non lo è in Nigeria, ma continuiamo a potare avanti il carisma e le opere della misericordia dove il Signore ci ha chiamato senza paura». «Lo stesso lavoro – conclude –  che svolgiamo qui a Torino in un quartiere multietnico dove non abbiamo la pretesa di cambiare nulla ma semplicemente di metterci accanto per accompagnare, cercando di testimoniare comportamenti di accoglienza, che passa dall’integrazione del diverso».

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