"Una riforma per chi non ha lavoro", parla il ministro Giuliano Poletti

Intervista in esclusiva al responsabile del dicastero del Lavoro dopo l'approvazione alla Camera del Jobs act

Parole chiave: ministro poletti (1), renzi (14), jobs act (5), parlamento (19), lavoro (167), riforma (44)
il ministro del lavoro Giuliano Poletti

«Il lavoro, deve essere chiaro, lo creano le imprese e le loro scelte di investire per crescere». Così dice con chiarezza il ministro del lavoro Poletti in una intervista sul Jobs act  al settimanale cattolico «Il Nostro Tempo» che esce domani.  

Per il ministro invece «la visione dell’impresa come luogo dello sfruttamento del lavoro, come “male necessario”, è molto diffusa nel nostro Paese». La  riforma del mercato del lavoro - voluta con caparbietà dal governo  e che ha anche provocato il duro confronto in particolare con la Cgil - vuole soprattutto «rafforzare la fiducia delle imprese, che è la premessa indispensabile perché queste aumentino la propensione ad investire e, di conseguenza, ad incrementare l’occupazione». «La legge delega», secondo Poletti, «ha dei contenuti socialmente positivi: risponde al bisogno di maggiore certezza di imprenditori e lavoratori; estende la copertura degli ammortizzatori sociali a chi oggi ne è privo; riduce le tipologie dei contratti precarizzanti. Se si considerano questi contenuti, credo si possa dire che molte critiche appaiono ingiustificate».

Infine ha aggiunto: «La discussione sulle modifiche all’applicazione dell’art. 18, peraltro previste solo per le nuove assunzioni, ha avuto l’effetto di mettere in secondo piano i contenuti concreti del disegno di legge delega cui ho fatto riferimento prima. In ogni caso, vorrei ricordare che, nel corso degli anni, si è continuato a ripetere che il contratto a tempo indeterminato doveva essere considerato la forma contrattuale “privilegiata”; salvo non accorgersi che in realtà, negli ultimi anni, solo il 15 per cento delle assunzioni veniva fatto a tempo indeterminato, mentre l’85 per cento passava per altre forme contrattuali più o meno “precarie”. Evidentemente, c’era bisogno di cambiare qualcosa. Noi ci poniamo l’obiettivo di invertire queste percentuali, di far sì che il contratto a tempo indeterminato diventi davvero la forma tipica del rapporto di lavoro, scoraggiando il ricorso a forme più o meno precarie».

L'intervista integrale domani sull'edizione de "il nostro tempo" - domenica 7 dicembre 2014

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