Un'Italia incerta

Riforme, dalla scuola a quelle istituzionali, l'economia e la crisi greco-europea infine la lotta al terrorismo. I tanti impegni dell'esecutivo di Renzi

Parole chiave: politica (133), renzi (14), governo (25), economica (16), riforme (14)
Un'Italia incerta

Di fronte alla potenza del fenomeno terroristico mondiale, ai lutti e ai dolori che provoca, le vicende italiane appaiono in tutta evidenza piccole e provinciali. Di una piccola provincia del globo che, nonostante riscuota notevoli successi imprenditoriali nei prodotti dotati di stile, arte e creatività, non riesce ad assumere un peso politico sufficiente almeno per farsi sentire sui tavoli istituzionali dove si decidono questioni delicate.

Come quella relativa alla gestione concordata dei flussi immigratori, che ha visto un’Europa incerta e chiusa, incapace di valutare l’insieme e puntare alto con una strategia ampia, equa e ragionevole fatta sì di quote (avendo a che fare con persone sarebbe meglio uscire dalla mera logica dei numeri), ma anche d’intervento economico deciso e di revisione di norme e trattati palesemente inefficaci. Ha prodotto un piccolissimo risultato, quando sono sempre più forti e cruenti i segnali di paure xenofobe che, lungi dal rappresentare una risposta agli attacchi terroristici, sono un risvolto eguale e contrario in grado solo di autoalimentare reciproche incomprensioni.

Ma l’Italia è debole sul piano internazionale proprio perché su quello interno emergono con maggior virulenza tutte le sue pecche, ataviche, aggravate da una nuova recrudescenza che agli occhi di stranieri appare davvero inaccettabile.

Lunga è la lista dei nostri difetti, che a raccontarli si passa per essere tacciati di antinazionalismo da quattro soldi, e che invece dovrebbero suscitare indignazione profonda e determinare un vero cambio di paradigma mentale e di comportamenti.

La difesa incondizionata delle proprie posizioni di privilegio, che in alcune categorie professionali impedisce di guardare a qualsiasi proposta di riforma che scuota precedenti status quo acquisiti e tentare riforme che – prendendo atto del punto di partenza negativo – provino a puntare al meglio. La violenta contestazione di parte del mondo della Scuola in questi giorni (contro proposte che possono essere criticabili, ma non sono certo uno stravolgimento epocale degno dell’insurrezione) lo testimonia con forza.

Il frazionismo politico del «se non sono più d’accordo con te, vado per la mia strada», pezzi di partito che lasciano vecchi compagni di viaggio, singoli che decidono di fondare e rifondare altri gruppi, la logica dell’insieme (partito, coalizione, governo, Paese…), pur faticosa, ma alla lunga produttiva di risultati duraturi, condannata dal «particulare»  di guicciardiana memoria. Questioni di grande portata umana e filosofica come i temi bioetici (unioni, educazione sessuale, procreazione, fine vita, ecc.) che dovrebbero essere trattati con ragionevolezza, linguaggio moderato e predisposizione all’ascolto, che invece (da una parte e dall’altra) vengono branditi come elementi caratteristici di un’identità da rimarcare, confini da porre tra un «noi» e un «loro», definiti per la battaglia e non per la costruzione.

E poi c’è la corruzione e/o la malagestione delle casse pubbliche, che svela ogni giorno nuovi casi (ultimo quello in Calabria) come se lo scandalo suscitato dai precedenti non avesse per nulla intaccato «l’ardire» di nuovi potenti pronti a macchiarsi di altre operazione «contra legem» per intascare denaro pubblico.

Questi connotati di fondo rendono agli occhi dei non italiani (ma ancor più degli italiani stessi) il nostro Paese irredimibile. Ma sappiamo che non è così. Non può e non deve esserlo. Ma ci vorrebbe tanto la sana  e attiva consapevolezza di far parte di un unico Paese, un’unica nazione che, per nascita o per scelta, lega in un unico intrecciato filo le sorti di tutti. Sia le buone che le cattive.

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