Tangentopoli: venticinque anni dopo, cosa e come ricordare

"Mani pulite" fu una pagina negativa e piena di contraddizioni. Da allora partì una transizione sul piano politico che appare ancora oggi in atto 

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Tangentopoli: venticinque anni dopo, cosa e come ricordare

«La situazione rischia di inquinare profondamente il tessuto sociale». Ventisei anni fa, il 4 ottobre 1991, la Commissione Giustizia e pace della Cei nella nota «Educare alla legalità» esprime «la viva preoccupazione dei vescovi» e denuncia l’«eclissi della legalità» di un «Paese feudale, sotto il segno del privilegio, dell’occupazione e della lottizzazione delle istituzioni». Il documento fa scalpore ma presto è lasciato cadere.

Venticinque anni fa la disfatta dei partiti comincia da Milano alle 17,30 di lunedì 17 febbraio 1992 con l’arresto, ordinato dal pm Antonio Di Pietro, del «mariuolo» socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio - messo lì da Bettino Craxi - aspirante sindaco di Milano, pescato con le mani nella marmellata, una bustarella di 7 milioni da un’impresa di pulizie. È l’inizio di Tangentopoli.

«Mani pulite» cola a picco il centrosinistra e disintegra il Caf (Craxi-Andreotti-Forlani): i segretari Psi Bettino Craxi e Dc Arnoldo Forlani sono inquisiti e condannati per finanziamento illecito e corruzione, Giulio Andreotti per concorso esterno in associazione mafiosa. Affiora un verminaio di regalìe e corruttele. Politici e imprenditori, pubblici amministratori e burocrati, faccendieri e mestatori, profittatori e assessori, impiegati e uscieri, presidenti e amministratori delegati sono «avvisati», intercettati, indagati, rinviati a giudizio, processati, condannati, molti salvati da prescrizioni e condoni.

Nel 1992 la mafia mira in alto e uccide vittime illustri. L’assassinio con il tritolo del giudice Giovanni Falcone, della moglie giudice Francesca Laura Morvillo e dei tre agenti di scorta sull’autostrada Capaci-Palermo il 23 maggio accelera l’elezione, il 25, del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, fervente cattolico novarese che non si stacca mai dal distintivo dell’Azione Cattolica, strenuo difensore della Costituzione . Il 19 luglio ’92 cade il giudice Paolo Borsellino. Il 15 settembre 1993 a Palermo soccombe don Giuseppe Puglisi.

A capo dell’episcopato e vicario di Roma c’è il porporato emiliano Camillo Ruini, un fedelissimo di Papa Wojtyla: valorizza l’episcopato rispetto al clero e ai laici; predilige i movimenti recenti - Comunione e Liberazione, Opus Dei, Rinnovamento nello Spirito - alle associazioni tradizionali, con l’Azione Cattolica e  le Acli in affanno; dialoga direttamente con i poteri politici. La Cei ruiniana si rafforza al centro della vita ecclesiale; assume una voce sempre più autorevole e una forte visibilità; da poche strutture artigianali si trasforma in un’organizzazione moderna e funzionale, grazie all’8 per mille; si fa interprete di una Chiesa politicamente presente, culturalmente integralista.

Sotto i colpi della criminalità e delle ruberie, della corruzione e dell’evasione fiscale, dell’illegalità e del malaffare, della prepotenza e delle conventicole, lo Stato vacilla, il Parlamento balbetta, la classe politica si trincera, la casta difende privilegi e abusi, gli onesti sono indifesi, l’opinione pubblica è furibonda, l’economia arranca, la disoccupazione galoppa anche perché molte aziende che hanno fatto i soldi, sbaraccano e vanno a sfruttare altri.

Ruini chiede la rigenerazione della politica; invita i corrotti a dimettersi e i cattolici a non disperdere il patrimonio comune; chiede ai cristiani di dare un contributo al bene comune di fronte allo scempio della legalità e allo smarrimento degli onesti; insiste sull’unità politica dei cattolici attorno alla Dc ma con la dissoluzione anche il suo lessico diventa più felpato. I documenti Cei puntano a plasmare le coscienze: «La formazione all’impegno sociale e politico»; «Evangelizza­re il sociale e il lavoro»; «Appello alla speranza e alla responsabilità»; «Il significato della presenza rinnovata e unita dei cristiani nella vita sociale e politica»; «Legalità, giustizia e moralità»; «Democrazia economica, sviluppo e bene comu­ne»; «Stato sociale ed educazione alla socialità».

Il cardinale arcivescovo di Torino Giovanni Saldarini, vicepresidente Cei, si muove in sintonia con Ruini nella convinzione che compito della Chiesa non è fare politica ma denunciare con coraggio il male ovunque si annidi, prima di tutto nelle sue file; liberarsi di compari e affaristi; indicare le strade del bene; chiedere onestà e trasparenza, responsabilità e pulizia; chiedere la punizione di corrotti e ladri. Saldarini inaugura la Scuola di formazione all’impegno sociale e politico, varata dal predecessore Anastasio Alberto Ballestrero; ritiene salutare per la Dc un periodo di opposizione». Si schiera decisamente contro la secessione leghista ed è strenuo difensore dell’unità d’Italia; bacchetta i cristiani perduti dalla sete di potere; stima Romano Prodi, sostiene il Ppi e Mino Martinazzoli; esprime una severa condanna delle mazzette: «Il cristiano denunci chi chiede tangenti».

Altrettanto netto è il cardinale arcivescovo di Milano, il torinese Carlo Maria Martini che nel discorso per sant’Ambrogio 1995 denuncia «le consociazioni perverse e le strutture di peccato. Non basta proclamare i valori discendenti dalla fede, la vita, la famiglia. In una società pluralistica e secolare vale più la proposta di cammini positivi che non la chiusura su dei "no" sterili. Non è in gioco la libertà della Chiesa ma la libertà dell’uomo; non è in gioco il futuro della Chiesa ma il futuro della democrazia».

Quasi tutti i politici indagati e condannati rimangono o tornano rapidamente alla politica. Nel periodo 1992-2002 su 4.520 posizioni indagate da Milano, 1.320 finiscono ad altre Procure, 3.200 sono rinviate a giudizio, 1.121sono colpevoli con sentenza definitiva. Il «partito degli onesti» non è mai esistito. Cesare Romiti si giustifica: «La Fiat vessata per le tangenti». Anche Carlo De Benedetti ammette: «Pagavamo i partiti».

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