Sanremo, il Paese si è fermato?
Rileggendo la settimana della Canzone italiana
Se avessimo come unico punto di riferimento i telegiornali o i radiogiornali della Rai, avremmo appreso che siamo un Paese fermo. Ma la notizia non si riferisce alle difficoltà economiche, alla scarsità del lavoro, all’enorme debito pubblico o all’andamento recalcitrante della natalità: almeno per il periodo compreso da martedì 7 a sabato 11 febbraio, secondo il servizio pubblico di informazione, l’Italia si è fermata, quasi tutta intera, a guardare il Festival di Sanremo.
Davanti a televisori più o meno sofisticati, o ad altri mezzi più o meno moderni, si è celebrato uno dei riti annuali più cari alla nostra nazione, tema che ci accompagna da quasi un settantennio. Se i bambini degli anni ’60 il rito era un evento familiare in bianco e nero, di fronte ad un apparecchio grande come una cattedrale e, più che del povero Tenco, si parlava della Cinquetti; nei ’70 ci si vergognava di vederlo, ma lo si guardava lo stesso (e i più fortunati a colori), negandolo di averlo fatto (come nessuno votava DC o, più tardi, Berlusconi, ma intanto quelli vincevano le elezioni), e, per ogni decennio successivo, si potrebbe trovare una valida motivazione (anche nei ’90, quando Tangentopoli incrinava la Milano da bere, la vera capitale permanente della canzone).
Di fronte ad uno spettacolo comunque dignitoso, forse davvero una fetta d’ Italia si è proprio bloccata (e non si nasconde più dalla vergogna). Se un tempo, in un paese cattolico, oltre che a ferragosto, le attività rallentavano solo la Settimana Santa, oggi lo fanno anche in quella “fanta” (fantastica o fantasma?).
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