Riforma elettorale sul filo, per il governo Renzi la prova più dura

Troppa distanza tra il dibattito parlamentare, gli strappi e le tensioni e il paese reale che pensa ad altre priorità e problematiche

Parole chiave: elettorale (1), politica (133), italia (221), riforma (44)
Riforma elettorale sul filo, per il governo Renzi la prova più dura

C'è un’evidente divergenza tra le tensioni che i leader politici hanno riversato nella discussione sulla riforma della Legge elettorale, il cosiddetto Italicum, e lo scarso interesse manifestato dai cittadini a proposito.

Secondo un recente sondaggio della Lorien per ItaliaOggi, l’Italicum è un «oggetto misterioso» per il 74% degli italiani; il 32% lo ritiene semplicemente «inutile» o che comunque non modificherà la situazione mentre soltanto il 25% degli italiani la considera una «necessità importante». Non è poco, ma neppure tanto da giustificare la minaccia di una crisi di governo e conclusione anticipata della legislatura.

Allora perché questo accalorarsi, questo scontro frontale tra maggioranza e minoranza interna del Pd, per non dire delle feroci critiche che ha spinto qualcuno dell’opposizione a definire questa legge come la «tomba della democrazia»? Come se, invece, il precedente sistema adottato, bocciato senza riserve dalla Corte costituzionale e deriso dallo stesso autore, avesse dato un’ottima prova di sé… D’accordo, c’è una buona dose d’interessi di bottega, eppure è una palese anomalia che dovrebbe far pensare chi fa politica, e non solo. Il logoramento del sentimento di partecipazione alla comunità democratica passa anche di qui.

Ci sono ragioni semplici e complesse allo stesso tempo, che allontanano i cittadini: siamo ormai ai minimi storici di livelli credibilità e fiducia verso la classe politica e soprattutto è palese che le questioni che interessano i cittadini sono ormai concentrate da tempo sulle difficoltà della vita quotidiana (lavoro e sicurezza su tutte).

Ma un sistema elettorale (non esiste il modello ideale adottabile ovunque), non è solo un meccanismo per selezionare parte della classe dirigente di un Paese. Non è solo una questione tecnica. Esso si porta dietro una visione di equilibri istituzionali che ha come prospettive l’orientamento verso uno dei due poli: o la governabilità o la rappresentatività, o la responsabilità amministrativa, dichiarata e messa subito alla prova, o la riproduzione (più o meno esatta, a seconda del grado di proporzionalità) delle opinioni del corpo elettorale (che solo in un secondo momento mettono mano alle alleanze per il governo). Un buon mix tra le due opzioni è preferibile a un sistema fortemente marcato in un senso. L’Italicum tende verso il primo perché da anni il nostro Paese, nell’accentuare il frazionamento e l’atomismo di forze politiche e gruppi, ha reso sempre più aleatorio l’attribuzione di chiare responsabilità di governo e (di conseguenza) la possibilità che il successivo appuntamento elettorale possa effettivamente premiare o bocciare. Le coalizioni nascono, cambiano (ben 196 parlamentari hanno cambiato, alcuni più volte, casacca negli ultimi due anni), si modificano e crollano per un potere meschino di ricatto che non può essere più accettato se si vuole fare l’interesse del Paese. L’Italicum tende con forza verso il primo orientamento. Ed è un bene, a mio avviso.

Ma senza entrare nei dettagli (premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, ballottaggio in caso di non superamento della soglia, sbarramento al 3% peri piccoli e capilista bloccati), già ampiamente descritti da molti organi d’informazione, ci sono diversi aspetti del dibattito politico, che preoccupano. La richiesta di un voto di fiducia, altrimenti cade il governo; i toni allarmati sulla fine della democrazia se passa l’Italicum; la dittatura evocata perché sono regole approvato senza una larga maggioranza (ma se gli accordi si prendono e poi qualcuno si tira indietro senza buoni motivi, che si fa?...); i cittadini che sarebbero «esautorati» dal loro potere di scelta senza una sufficiente quota di preferenze (ma non erano la fonte della corruzione?) …

Insomma questi toni da tregenda, l’incapacità di ragionare e pacatamente spiegare, dibattere, argomentare, fanno da viatico all’indifferenza (o, peggio, al distacco profondo) che accompagna il dibattito in corso da parte di cittadini comuni: un palese e drammatico ulteriore allontanamento tra Paese legale e Paese reale (tra chi dirige e chi è diretto, a dirla in soldoni). E come se il secondo dicesse: «fate voi, ché non ne possiamo più, diteci se e come possiamo votare e poi governate, purché facciate presto e bene». Un pensiero che non può durare a lungo senza implicazioni devastanti per la democrazia. Fatta la legge, bisognerà trovare il modo di rimetterla in mano ai cittadini, spiegandone potenzialità e riconvertendoli a un processo di partecipazione che non si può delegare ai Social network. Servono sedi: il governo faccia il governo, e se qualcosa di simile a partiti e/o organizzazioni sociali esisteranno ancora, siano essi i luoghi primari per non certificare un distacco che, davvero, nessuna tecnica per quanto efficace e condivisa, consentirà mai di colmare. 

Tutti i diritti riservati

Politica

archivio notizie

31/10/2017

Si è dimesso Paolo Giordana, capo gabinetto di Appendino

La decisione di farsi da parte dopo una denuncia di Repubblica, avrebbe fatto pressione su Gtt per far cancellare la multa ad un amico

29/06/2017

Dopo Grillo il non voto sconfigge Renzi

Amministrative secondo turno - balzo in avanti del Centro-destra. Ma il primo vincitore è l'astensionismo

11/01/2017

2017 Unione Europea, tra Brexit e Trump

Sarà un anno ricco di sorprese per l’UE quello appena cominciato

04/01/2017

Aspettando Godot, l'Europa oggi

Ancora un anno di attesa per l'Unione Europea nel 2017?