Referendum capire per scegliere

Domenica 4 dicembre si vota per riformare la Costituzione

Parole chiave: referendum (20), costituzione (22), italia (221)
Referendum capire per scegliere

Il prossimo 4 dicembre si svolgerà il referendum sulla riforma che modifica la Costituzione, intervenendo sui poteri del Senato e le competenze delle Regioni. La chiamata alle urne dei cittadini si rende necessaria poiché nella doppia votazione di Camera e Senato non si è raggiunta la prescritta maggioranza dei due terzi dei loro componenti, che avrebbe chiuso la partita in Parlamento. Il giudizio definitivo viene quindi affidato al responso popolare.

Prima di entrare nel merito della riforma, va evidenziata una differenza rispetto ai referendum abrogativi. In quel caso il «Sì» significa che si vuole abrogare la norma, mentre con il «No» si intende mantenerla in vigore. Qui, al contrario, con il «Sì» la modifica costituzionale viene accolta e con il «No» la si respinge. Non è inoltre previsto un quorum di partecipazione: chi andrà alle urne deciderà anche per gli astensionisti.  

Chiarite le regole che disciplinano questo tipo di referendum, veniamo all’oggetto del contendere. La riforma, che modifica oltre quaranta articoli della Carta, ha i suoi punti salienti nel superamento del bicameralismo perfetto, nel cambiamento dell'iter legislativo e nel riassetto delle competenze dello Stato e delle Regioni. Siamo di fronte ad una delle più ampie modifiche costituzionali proposte agli elettori, pari soltanto a quella della devolution, promossa dal centro-destra nel 2006 e bocciata in un referendum analogo a quello del 4 dicembre.

Senato e bicameralismo

Il Senato subirà una completa trasformazione. I suoi membri passeranno da 315 a 100 e non saranno più eletti direttamente dai cittadini, ma verranno scelti dalle autonomie locali (regioni e comuni) e non sarà loro più concessa alcuna indennità.

Cinque di essi verranno nominati, per sette anni, dal Capo dello Stato, per altissimi meriti artistici, scientifici e culturali. Novantacinque saranno espressione dei consigli regionali e comunali. Nel dettaglio avremo 74 senatori eletti dai consigli regionali, in numero proporzionale alla popolazione, e 21 eletti tra i sindaci di ciascuna Regione e Provincia autonoma (Trento e Bolzano). La modifica nella composizione e nell'elezione del Senato è il preludio al superamento del bicameralismo perfetto o paritario.

Oggi la Costituzione prevede che i due rami del Parlamento, Camera e Senato, svolgano esattamente le stesse funzioni. Esse, infatti, votano entrambe la fiducia al governo e partecipano con le stesse modalità alla formazione delle leggi. Con la riforma tutto cambia, poiché il Senato diventa l'assemblea dei territori, mentre il controllo dell'indirizzo politico, e in particolare il voto di fiducia (che sancisce la nascita o la fine di un Governo) sarà affidato esclusivamente alla Camera.

In quest'ottica essa avrà una posizione di supremazia nella funzione legislativa. La Camera potrà cioè superare la volontà del Senato, da esprimersi entro 40 giorni, con una seconda deliberazione finale.

Questo iter non è applicato, mantenendo l'attuale ruolo paritario tra le due assemblee, soltanto in alcuni casi ben precisati: modifiche costituzionali, norme connesse all'Unione europea o all'ordinamento regionale e leggi elettorali.

Per contro il Senato acquisterà nuovi poteri in tema di valutazione delle politiche pubbliche e di verifica dell'attuazione delle leggi. Con la fine del bicameralismo perfetto, le nostre istituzioni si avvicineranno a quelle di altre democrazie europee (Francia, Spagna, Germania, ecc..) ove i due rami del Parlamento svolgono funzioni diverse e vi è una sola assemblea eletta a suffragio universale, che controlla il governo, mentre la seconda, scelta per via indiretta, rappresentanza le autonomie locali.

Competenze Stato-regioni

La riforma ridisegna le competenze dello Stato e delle Regioni, correggendo lo squilibrio a favore della legislazione regionale, legato alla modifica del Titolo V (il famoso federalismo). Torneranno pertanto sotto l’egida statale materie come le infrastrutture strategiche (porti, aeroporti, ecc..), le reti di trasporto dell'energia o la sicurezza sul lavoro.

Scompare la legislazione concorrente, in cui i principi generali erano dettati dallo Stato e le norme attuative appannaggio delle Regioni. Sulla carta pareva una soluzione idonea a valorizzare l’autonomia regionale; in pratica si è rivelato pressoché impossibile fissare un netto confine tra le due sfere di intervento, moltiplicando i conflitti di competenza tra Stato e Regioni.

Lo Stato sarà infine dotato di una clausola di supremazia da esercitarsi, nell'ambito delle materie che restano attribuite alla potestà regionale, quando lo richieda la tutela dell'interesse nazionale.

Presidente della Repubblica

Nulla cambia riguardo ai poteri del Presidente della Repubblica. Alla sua elezione però non parteciperanno più i delegati regionali, poiché il Senato assorbirà questa rappresentanza territoriale. Fino al terzo scrutinio il Capo dello Stato sarà eletto, come oggi, a maggioranza di due terzi dell'assemblea (Camera e Senato riuniti). Dal quarto scrutinio, anziché la maggioranza assoluta dell'assemblea sarà sufficiente quella dei tre quinti; dal settimo basteranno infine i tre quinti dei votanti. 

Corte costituzionale, Province e Cnel

La Corte costituzionale allargherà le proprie competenze, venendo chiamata a giudicare, in via preventiva, le leggi elettorali. Ai cinque membri oggi eletti dal Parlamento in seduta comune, si sostituiranno tre nomine separate della Camera e due del Senato.

Vengono abolite le Province (nate con l'unità italiana) e soppresso il Cnel, che nei lunghi decenni della sua esistenza non è mai riuscito ad incidere in maniera significativa come organo consultivo del legislatore.

Referendum e democrazia diretta

Sarà introdotto nel nostro ordinamento il referendum propositivo, mentre per quelli abrogativi si prevede un doppio quorum di validità. Se le firme raccolte saranno 500 mila il quorum resterà, come oggi, il 50 per cento del corpo elettorale; se invece saranno 800 mila, scenderà alla metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche.

Spazio più ampio anche alle leggi di iniziativa popolare. Saranno innalzate le firme necessarie (da 50 a 150 mila), ma la proposta anziché finire, come accade adesso, nei cassetti del Parlamento, dovrà poi obbligatoriamente venir discussa in tempi certi.

Molte, quindi, le novità introdotte da questa riforma costituzionale, fermo restando la natura parlamentare (voto di fiducia, ecc.) del nostro sistema politico. Un cambiamento che, a detta di chi vi è favorevole, renderà più efficienti le nostre istituzioni, velocizzando l’iter legislativo (dove il Governo disporrà di una corsia preferenziale per fare approvare le norme ritenute indispensabili) e razionalizzando i poteri dello Stato e delle autonomie locali.

Il fronte dei contrari risponde, invece, che la formazione delle leggi sarà appesantita dai possibili conflitti tra i due rami del Parlamento e, soprattutto, viene ritenuta rischiosa la combinazione tra il potere assegnato al Governo e la legge elettorale, l’Italicum, che fornisce un eccessivo premio di maggioranza a chi riceve un voto in più degli avversari.

La personalizzazione della contesa, tanto da parte del Presidente del Consiglio quanto da parte dei suoi oppositori, ha spesso un po' oscurato il merito della riforma. Tante le polemiche, fino a prefigurare gli scenari più neri in caso di vittoria dell'uno o dell'altro schieramento. Adesso, per fortuna, siamo giunti al traguardo e tocca ai cittadini decidere. 

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