Letta: "Un'Europa unita per difendere la democrazia"

Colloquio: l'ex premier oggi alla guida dell'Istituti di studi politici di Parigi

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Letta: "Un'Europa unita per difendere la democrazia"

«Il vertice di Roma, in occasione del 60° della firma dei Trattati europei del 1957, non è stato, come si poteva temere, meramente celebrativo. Aver inserito nella dichiarazione finale, un passaggio sull'Europa sociale e avere accolto il principio di una diversa intensità nel ritmo dell'integrazione, è stato importante. Non era così scontato che, in un periodo di crisi come l'attuale, si giungesse a questo risultato». A parlare è Enrico Letta, in un incontro nel quadro di Biennale Democrazia, per una riflessione sull'Europa, sulla crisi che la attanaglia e sulle opportunità che può offrire il processo di integrazione. 

L'ex presidente del Consiglio, oggi alla guida dell'Istituto di Studi politici di Parigi, ritiene che si stia aprendo una terza fase nel percorso di integrazione europea. La prima fu quella del nuovo rapporto franco-tedesco in un'Europa di pace e di collaborazione tra i popoli. La seconda è stata quella, non meno esaltante, dell'allargamento ad Est, dopo la caduta del Muro di Berlino. Adesso siamo di fronte a qualcosa di nuovo con l'Europa chiamata a divenire attore globale. Percorso difficile e non immune da rischi, ma anche il solo che può evitare al Vecchio continente una progressiva marginalizzazione. 

«È ormai chiaro», sostiene Letta, «che la globalizzazione, avendo aperto la porte a nuovi protagonisti sul palcoscenico internazionale, sta ponendo in secondo piano  l'intera Europa. Emergono nuove aree geografiche e ormai dobbiamo confrontarci con Paesi che un tempo stavano molto indietro nella classifica mondiale dello sviluppo. A nostro sfavore gioca, per di più, anche la demografia. L'Europa è un continente vecchio, che sta invecchiando sempre di più con tutto ciò che questo comporta in termini di dinamismo produttivo, economico e persino culturale».

Come superare questa situazione? Due le possibili vie di uscita. La prima è quella di chi immagina basti innestare la retromarcia verso la sovranità nazionale, credendo che il protezionismo economico possa essere risolutivo. Per l'Europa imboccare questa strada significa tornare ai vecchi Stati, alle vecchie frontiere, alle vecchie monete. Una strada che ci relegherà ai margini dello sviluppo, perché Paesi come Italia o Germania, che rispettivamente rappresentano l'0,8 e l'1% della popolazione mondiale, presi per contro proprio saranno del tutto irrilevanti.

L'altra soluzione è invece quella dell'unità europea, per contare di più tutti insieme. Oggi in Europa ci sono due gruppi di Paesi: quelli che sono consci di essere piccoli e quelli che non hanno ancora capito di esserlo. Per Letta «il vero problema per l'integrazione sono questi ultimi, cullandosi nell'illusione di poter essere autosufficienti. Un'Europa unita può invece colmare sia lo scarto dimensionale sia, in parte, quello demografico, svolgendo un grande compito in nome della democrazia, dei diritti sociali, della tutela dell'ambiente e della centralità della persona. Nessuno può farlo al posto nostro, tanto meno gli Stati Uniti, perché a questo ci richiama la nostra storia e la nostra cultura». 

Certo adesso l'Europa sta vivendo un momento di transizione. C'è grande  attesa, ed è logico, per l'esito elettorale francese e tedesco. Se in Germania la sfida è tutta interna al campo europeista, tra Angela Merkel, per i democristiani, e Martin Schulz, per i socialdemocratici, in Francia le cose vanno un po' diversamente. A Parigi mai come oggi è in gioco il futuro dell'Europa perché uno dei candidati, la leader del Fronte nazionale Marine Le Pen in caso di vittoria vuole uscire dall'euro. E senza la Francia non esiste neppure l'Unione europea.

Una vittoria europeista a Parigi di sicuro rilancerebbe il processo di integrazione, ma per evitare che questo si identifichi solo in un direttorio franco-tedesco, è necessario che anche l'Italia sia protagonista. Evidente, allora, l'importanza della stabilità politica come precondizione per contare di più in Europa. Letta segnala allora il rischio «di andare alle prossime elezioni con un sistema proporzionale puro, in stile Prima Repubblica, per di più peggiorato dalle liste bloccate. All'instabilità politica tipica del proporzionale aggiungiamo, come se non bastasse, pure la scarsa rappresentatività parlamentare con una classe dirigente calata dall'alto. C'è davvero il rischio che l'Europa riparta e l'Italia resti ferma». 

Assodato che l'Unione dovrà muoversi a più velocità o, come detto nella dichiarazione di Roma, con diverso ritmo ed intensità, sono molte le materie  nell'agenda di una maggior integrazione: fiscalità, sistema bancario, grandi infrastrutture. L'emergenza di oggi è però l'immigrazione. L'ex premier è netto. «Deve essere chiaro che davanti ad un problema di tale portata non c'è soluzione nazionale che tenga. Serve un'azione comune, con una più incisiva cooperazione a livello europeo perché milioni di persone sono alle nostre porte e solo una risposta sovranazionale potrà essere efficace. A Trump, che disprezza l'Europa e alza le spalle parlando di migrazioni, sarebbe bene ricordare che oggi arrivano in Europa rifugiati provenienti da Iraq, Siria e Afghanistan. L'Unione sta, in pratica, pagando il conto dei fallimenti americani».

Per contare di più è indispensabile un'Europa più forte politicamente ed è quindi necessario un riequilibrio delle istituzioni perché il Consiglio, ossia la voce dei governi nazionali, ha preso troppo spazio rispetto agli organi comunitari, come Parlamento e Commissione. E in quest'ottica sovranazionale Letta lancia una proposta. «Occorre», spiega, «sostituire i 73 deputati britannici, in via di decadenza dopo la Brexit, con altrettanti parlamentari da eleggere in un'unica grande circoscrizione europea, superando i tradizionali confini nazionali. Un segnale che può aprire una nuova pagina di democrazia e di partecipazione popolare per colmare quel distacco tra classe dirigente e cittadini che è l'unica risposta per fermare l'avanzata del populismo». 

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