Italia, dove è finita la riforma costituzionale?

Rimandata a settembre. Non per voti mediocri, ma per la difficoltà di trovare un accordo ed evitare uno scontro che avrebbe prolungato i tempi di approvazione e perfino rischiato una spaccatura profonda, netta e irreversibile all’interno del Pd.

Parole chiave: italia (221), riforme (14), costituzione (22), politica (133), parlamento (19)
Italia, dove è finita la riforma costituzionale?

Il disegno di riforma costituzionale, con il dibattito in corso, in particolare quella sul Senato, che il governo Renzi propone (qualcuno dice, impone) all’approvazione del Parlamento, nasce con un connotato condiviso e due che, invece, dividono.

Il primo è la riconosciuta necessità di superare il bicameralismo perfetto che nella nostra Costituzione nasceva per equilibrare i poteri e che, nel corso degli anni, ha dato più volte prova di rallentare o bloccare processi legislativi non condivisi in pieno e che, nei passaggi plurimi dall’una e l’altra camera, trovava terreno fertile per imboscate politiche e definitive cassazioni di progetti normativi. Ora, con tempi sempre più caratterizzati dalla complessità e dalla velocità con cui emergono e s’impongono i fenomeni, il ping-pong legislativo non solo non è ammissibile, è anche deleterio per l’immagine di una democrazia ormai sempre più ritenuta malata e incapace di essere produttiva di decisioni efficaci ed efficienti. Bene.

Nonostante tutti (chi più, chi meno, a dir la verità…) partano da questa esigenza condivisa, su due questioni di fondo nascono divergenze che hanno portato un gruppo di 25 senatori del Pd a stendere un documento in chiara opposizione al disegno di legge costituzionale già approvato alla Camera e che, pur portando il titolo, " Avanti con le Riforme Costituzionali", strategicamente indica tali e tante modifiche che difficilmente – se discusse e votate una per una – potranno consentire di approdare in tempi ragionevoli all’approvazione finale che dia poi la possibilità (visto che di certo non avrebbe la maggioranza qualificata richiesta per la definitiva approvazione) ad un referendum in primavera del 2016 (in concomitanza con le elezioni amministrative prossime). Molti i punti controversi, indichiamone qui due di fondo.

La funzione di questo nuovo Senato e il metodo per stabilire chi ne fa parte. Rapide considerazioni che lo spazio concede.

Mi chiedo: perché dover sottolineare la funzione di controllo, bilancio, contrappeso rispetto al potere che ha la Camera dei deputati, che con la riforma sarebbe l’unica ad avere il potere legislativo vero e proprio? Perché questa deve essere considerata una sede istituzionale da frenare e controbilanciare (come se non ci fossero per questo anche altri poteri come Corte Costituzionale, Presidente della Repubblica, magistratura), tanto da ritenere eccessivo il potere di procedere con solerzia nei suoi compiti normativi? Chi la elegge se non il popolo, e con che sistema se non quello democratico di una legge elettorale regolarmente approvata? Si ritiene che l’Italicum dia un premio sproporzionato rispetto alla reale rappresentanza del popolo elettorale? Si corregga questo difetto, allora, se è il caso (premio alla coalizione e non alla lista?) e non si freni invece la possibilità che la Camera dei deputati (come accade in quasi tutti i Paesi del mondo), abbia un metodo di lavoro capace (in un quadro costituzionale di ragionevoli pesi e contrappesi) di renderla funzionante e in tempi il più rapidi possibili.

Poi c’è il tema di chi saranno i senatori e come eleggerli. Sarà il Senato in cui si confronteranno le esigenze e gli interessi delle autonomie locali, in particolare quelle regionali (sulla presenza, pur in quota limitata, dei rappresentati dei comuni, sinceramente qualche dubbio resta), ma variano i pareri sulla necessità che siano eletti (scelti all’interno di una lista o con un “pacchetto” di nomi bloccati?), dalla platea degli elettori (quella stessa che si reca alle urne per eleggere la Camera – con che sistema ?- o quelle che sulla scheda per eleggere il proprio governo regionale trova anche alcuni nomi per scegliere i propri rappresentanti al Senato con questa nuova configurazione? Insomma, si discute. I fautori della riforma (quelli del ‘sì ma non troppo’), ritengono che un Senato più autorevole e capace di intervenire sulle scelte di Governo e Deputati lo è solo se a “formarlo” saranno i cittadini. A parte che l’autorevolezza della Corte Costituzionale smentisce questa tesi, non è facile capirne la ratio se legata a un automatismo formale che oggi come non mai, non riabilita e valorizza affatto le istituzioni se svincolato da un autorevolezza invece basata su efficacia, produttività, linguaggio chiaro, obiettivi precisi, trasparenze, immagine delle persone che ne fanno parte e che lo rappresentano all’esterno, eccetera.

Sono insomma due dei punti controversi che hanno convinto governo e Renzi (da presidente e segretario del partito) a non forzare la mano. E ha fatto bene: si ricordi che questa, a differenza di riforme su cui può imporre la strategia generale di un governo decidente (e forse in politica non è mai il caso, di imporre…), a maggior ragione quando si tratta dell’impianto istituzionale sulla base del quale poi si dovrebbe governare per decenni e nell’interesse di tutti. E’ meglio ‘spendere’ qualche giorno in più di faticosa negoziazione. Anche perché, visto che le riforme costituzionali approvate con maggioranza semplice aprono la partita del referendum approvativo, lì si “parrà la nobilitate” dei promotori: convincere il popolo degli elettori. La storia insegna che i NO (anche, appunto, per partito preso…) possono giocare brutti scherzi.

Per il documento dei 25 vedi questo Link:

http://www.leformedellapolitica.it/la-riforma-dello-stato/340-avanti-con-la-riforma-del-senato.html

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