Il presidente dell'orgoglio ritrovato

La scomparsa di Carlo Azeglio Ciampi, anche per il momento nel quale è avvenuta, obbliga tutti a riflettere sull’Italia, come è stata, come è e come vogliamo che sia nel futuro

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Il presidente dell'orgoglio ritrovato

Il contributo più importante che ci ha dato con la sua esperienza professionale e politica, con i suoi discorsi, con la sua vita è che le donne e gli uomini non sono delle monadi che vivono isolati il loro breve presente. Ognuno è parte di una comunità che deve conoscere il suo passato, essere consapevole della responsabilità comune per come vive il presente, essere attenta al futuro che ogni generazione lascia a chi viene dopo.

Uomo cattolico di formazione, anche per essere stato alunno, dalle elementari al liceo, dell’Istituto retto dai gesuiti di Livorno, ma laico, fortemente risorgimentale e di cultura azionista, forse anche per aver incontrato alla Normale di Pisa Guido Calogero, egli ha voluto che gli italiani si riappropriassero della loro storia, e quindi della cultura risorgimentale che ha fatto l’Unità di Italia. Per questo si è battuto, dal giorno del giuramento fino agli ultimi messaggi presidenziali, per riaffermare l’idea di Patria, sottraendone l’uso a quanti ne avevano fatto strumento di lotta politica.

Come ricordò nel discorso per i 140 anni dell’Unità di Italia a Torino il 20 novembre 2001, la Patria per lui era quello che era per Mazzini, «una comunione di liberi e di eguali, affratellati in concordia di valori verso un unico fine. Non un aggregato ma una associazione».

Tuttavia Ciampi non ha mai fatto del suo richiamo alla storia risorgimentale, agli inni e gli episodi che ne segnarono le tappe e ai suoi protagonisti, un elemento per rivendicare il passato, per dividere, per stilare liste di “buoni e cattivi”, per attribuire primazie culturali e ideologiche. Egli ha sempre ricordato il passato per orientare il presente, per richiamare le responsabilità comuni, per chiedere a tutti uno sforzo condiviso a tutela della comunità nazionale e del suo sviluppo. Allo stesso tempo egli ha sempre indicato il futuro dell’Italia nel concorso alla costruzione europea, vista non solo come una unità politica, ma come il compimento di una storia, nella quale si ricostituisse la grande comunità dei popoli dell’Europa romana prima, carolingia dopo. Fin dal giorno del giuramento ribadì che l’Europa era il nostro futuro e la missione che gli italiani, insieme agli altri popoli europei, dovevano perseguire.

Non meraviglia dunque la sua vicinanza con Giovanni Paolo II, il grande Papa che tanto si batté perché nella Costituzione europea fossero riaffermate le radici cristiane dell’Europa. Né stupisce la sua affinità culturale con Benedetto XVI, del quale conosceva la lingua materna e al quale lo accomunava la visione di una grande Europa, nella quale non una sola, ma tutte le nazioni, nessuna esclusa, potessero essere più “grandi”.

Non può stupire, infine, che sia come Governatore della Banca di Italia, che come Presidente del Consiglio, e poi come Ministro del Governo Prodi, sia sempre stato per i suoi colleghi un punto di riferimento e un’autorità forte, anche morale. Ciampi è stato una autorità morale perché aveva una morale e perché la sua morale affondava nella consapevolezza che l’uomo ha responsabilità verso chi è vissuto prima di lui e verso chi verrà dopo di lui.

Una consapevolezza comune e condivisa da credenti e non credenti, purché si esca dall’egotismo individualista che caratterizza troppa parte della società di oggi, dominata dall’idea che ognuno sia una monade, titolare di ogni diritto e teso alla soddisfazione dei suoi desideri, senza alcun dovere morale che lo vincoli e ne invochi una responsabilità personale verso gli altri.

Come torinesi è giusto chiederci quale sia stato il rapporto tra Ciampi e Torino. Credo sia inutile cercare citazioni nei suoi discorsi, che non troveremmo che in misura parca e moderata, o affidarsi ai ricordi dei tanti torinesi che lo conobbero e lo frequentarono. Mi pare più giusto dire che tra Ciampi e Torino è sempre esistito un legame profondo, e non solo perché i suoi nonni materni erano di Cuneo e nessuno più di lui aveva quell’understatement che piace tanto ai torinesi.

Il legame è più solido ed esistenziale. Il dato comune che a me pare abbia legato e leghi l’uomo Ciampi alla comunità torinese è piemontese e la consapevolezza profonda che tutti facciamo parte di una storia comune della quale ciascuno deve sentirsi, per la sua parte, responsabile. Questa cultura è profondamente radicata in Piemonte e a Torino. Credo che Ciampi lo avvertisse come lo hanno sempre avvertito torinesi e piemontesi. Per questo ci sentiamo così vicini a lui.

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