Avvenire, quotidiano (l'unico) in crescita

In occasione del debutto de «La Voce e il Tempo» abbiamo intervistato Marco Tarquinio,  dal 2009 direttore di Avvenire: il giornale dei cattolici italiani voluto da Paolo VI nel 1968, secondo i dati di luglio 2016, è il solo quotidiano nazionale in espansione per diffusione di copie 

Avvenire, quotidiano (l'unico) in crescita

Marco Tarquinio, classe 1958 nato ad Assisi sposato e padre di due figlie, dal 2009 è l’ottavo direttore di Avvenire, il quotidiano nazionale di ispirazione cattolica voluto da Paolo VI e in edicola dal 4 dicembre 1968 dicembre. A lungo editorialista politico, caporedattore della redazione centrale milanese e poi di quella romana, nel 2007 ne era diventato vicedirettore. Sotto la sua direzione Avvenire si consolida e aumenta di autorevolezza nel panorama editoriale nazionale registrando, nonostante gli anni difficili di crisi dell’editoria in Italia, una crescita diffusionale confermata anche recentemente. In occasione del «debutto» de La Voce e il Tempo» abbiamo intervistato Marco Tarquinio sul ruolo della stampa cattolica oggi in Italia.

 Direttore è di questi giorni il dato dell’Ads  (la società che certifica e divulga i dati relativi alla tiratura e alla diffusione della stampa quotidiana in Italia) che Avvenire, in un contesto di difficile crisi dell’ editoria non solo resiste, ma è l’unico quotidiano nazionale generalista  in crescita. Eppure l’«ispirazione cattolica» del giornale che lei dirige, come si legge nella testata è chiara. Il punto di vista cattolico dunque interessa nonostante la secolarizzazione avanzi... 

Credo che interessi non solo la nostra accurata informazione, ma anche la nostra opinione, che noi mettiamo sempre accanto ai fatti e non sopra di essi, deformandoli, come spesso accade purtroppo nel circo mediatico. Credo anche che interessi uno stile informativo stampa cattolica – e che non dovrebbe solo essere della stampa  di ispirazione cristiana. Un’ attenzione non di maniera alla vita della persone, alla quale recentemente, incontrando l’Ordine nazionale dei giornalisti, papa Francesco ha richiamato tutti quelli che fanno il nostro lavoro: avere una “misura” che è l’interiorizzazione delle regole di un mestiere e non solo il loro rispetto formale. Noi cerchiamo di fare il giornale così, rispettando le priorità vere nella vita delle persone, delle comunità, del mondo, quindi con un’attenzione seria ai problemi della gente più che a quelli del Palazzo. E penso che questo stile alla fine premi, soprattutto a fronte di una tendenza, quasi ossessiva, a ridurre la politica alle sue chiacchiere. Ci interessa di più parlare dei provvedimenti che poi hanno impatto concreto sulla vita della gente , parlare del mondo, quel mondo che in tanti modi arriva in casa nostra, raccontare cioè perché le persone sono costrette ad abbandonare la propria patria e, per forza, a mettersi in cammino. Ci interessa raccontare di quelli che contraddicono con il bene le logiche maligne che pure ci sono nel mondo… Ecco questo è il lavoro che facciamo raccogliendo un’eredità: il “mio” Avvenire non ha inventato nulla, io sono l’ottavo direttore di questo giornale, continuo una storia e credo che il compito che ho illustrato sia affrontato con passione e competenza sia dalla nostra redazione sia dall’altra stampa cristianamente ispirata, a partire dalla famosa e benedetta stampa del territorio e delle comunità, di cui La Voce e il Tempo è parte integrante.

 Come lei ha richiamato e come ha riportato il suo giornale,  22 settembre scorso papa Francesco,  ricevendo il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti,  ha detto che chi pubblica notizie «scrive in qualche modo la prima bozza della storia»; quindi è responsabilità del nostro mestiere - come dice il Papa -  «di essere onesto con se stesso e con gli altri». «La relazione – ha proseguito Francesco -  è il cuore di ogni comunicazione». Questo è lo stile di Avvenire a cui accennava e che a lungo paga come confermano i dati delle vendite

Mi è piaciuto molto che il Papa ci abbia parlato di “onestà”, invitando i giornalisti a essere «onesti con se stessi e con gli altri». Mi è tornata in mente l’Inter Mirifica, uno dei due primi documenti del Concilio Vaticano II, rivolto proprio ai mondo della comunicazione, che parla appunto di «stampa onesta» da sostenere e da diffondere: è un aggettivo estremamente appropriato. Onestà e qualcosa che va oltre la tanto declamata e mille volte contraddetta «obiettività». Onestà significa mettersi in relazione con i fatti e con le persone senza pregiudizi, portando la propria esperienza e anche la propria passione e visione, ma appunto rispettando la realtà, scrivendo con retta coscienza e mettendo tutto questo dentro la narrazione e il commento dei fatti. Credo che questo richiamo alla responsabilità di Francesco sia davvero utile: ce lo diciamo spesso, la nostra libertà di cronisti ha senso  solamente se la si vive con responsabilità. Non può essere solo un modo di dire.

Nonostante il web  stia sommergendo le nostre vite i dati sui giornali dicono che la carta «resiste», anzi sembra essere la locomotiva del web: come vede il rapporto tra la carta stampata e il digitale oggi e in futuro?

Certamente l’informazione cartacea e televisiva non è più fonte unica o prevalente. O meglio lo è sempre per tanti, ma per le nuove generazioni l’informazione via web ha un assoluta predominanza. Ciò che colpisce, comunque, è che buona parte delle notizie che circolano in ambiente digitale sono ancora e sempre originate dai media dell’informazione tradizionale. Questo la dice lunga sulla responsabilità che abbiamo noi che confezioniamo i giornali di carta e che viviamo professionalmente nei due ambienti, digitale e cartaceo. Credo che i giornali di carta continueranno ad avere il ruolo di dare il “la” e di garantire certezza e solidità a un informazione che altrimenti rischia di diventare «nebbiosa». Viviamo tutti, infatti, dentro un’onda di informazione diffusa, le notizie ci circondano come una nuvola, ci bombardano e ci arrivano da ogni dove, grazie anche ai social network: ma quante di queste notizie sono davvero tali? Quante sono mezze verità, quante sono bugie tutte intere? Quante sono esagerazioni senza fondamento o invenzioni pure e semplici? Per usare una metafora, se informarsi è attraversare ogni giorno un deserto apparentemente familiare con una sabbia abbacinante in una luce che produce miraggi, a un certo punto abbiamo bisogno di bere per sopravvivere e allora, inevitabilmente, c’è bisogno di pozzi di acqua potabile. La buona stampa, la stampa «onesta» fatta da giornalisti <onesti>, per dirla con papa Francesco, può svolgere questo ruolo: offrire la sicurezza dell’oasi, una essenziale sorgente d’acqua buona alla quale affidarsi con fiducia.

Negli ultimi trent’anni il messaggio cattolico ha avuto sottolineature diverse a seconda dei Papi che si sono susseguiti: siamo passati dal porre l’accento sui “valori non negoziabili” al richiamo a essere “pastori con l’odore delle pecore” nelle “periferie geografiche ed esistenziali”… Quanto incidono questi stili nel nostro modo di fare informazione? 

Penso che le parole che noi diciamo siano le stesse, figlie della Parola che è Cristo: cambiano certamente gli accenti - e gli accenti vogliono dire molto, influiscono sull’effetto che fanno sia in chi dice e dà sia in chi ascolta e riceve il messaggio di cui siamo portatori e non padroni. L’informazione cattolica si è sempre fatta carico di un ventaglio ampio di problemi e di sfide valoriali, dimostrando tenace chiarezza e limpido coraggio nel difendere il valore pieno della vita umana, da Paolo VI con l’Humanae vitae a Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI e ora con Francesco: questa attenzione prioritaria, a quel che vedo e sperimento, non cambia. Credo che abbia ragione papa Francesco quando dice che i grandi valori – quelli su cui si negozia, cioè non si fa mercato in un mondo che fa, anche selvaggiamente, mercato di tutto – sono <come le dita di una mano>: non ne puoi utilizzarne solo due o tre, se vuoi essere buono, abile, utile. Devi utilizzarle tutte. Quindi difendere la vita, difendere la famiglia, difendere il lavoro, difendere il Creato, casa comune nella quale viviamo, difendere la libertà di fede, di pensiero e di educazione. Sono impegni e priorità concatenati gli uni agli altri: ed è chiaro che tutto questo discende da una visione dell’uomo e della donna e del posto dell’uomo e della donna nel mondo. Dico questo ovviamente senza la minima intenzione di sottovalutare o sminuire la spinta che papa Francesco sta dando perché la Chiesa cammini dentro questa modernità con un passo diverso, e alzando lo sguardo oltre i confini delle abitudini. Del resto questo già accade. D’altronde questa è la nostra realtà. Ricordo spesso, e parlo solo dei cattolici, che ci sono poco più di 200 milioni di battezzati che vivono nel Vecchio Continente e che circa un miliardo sono extracomunitari che sperimentano la gioia del Vangelo anche in terre dove l’ingiustizia, la discriminazione, la persecuzione e persino il martirio sono la regola. Dovremmo tenerlo sempre bene a mente.

E quindi non si può fare a meno di parlare delle periferie…

Già. Prima di tutto perché il mondo è sempre più policentrico, e allo stesso tempo è tutto una grande periferia, perché quelle che papa Francesco definisce magistralmente le periferie geografiche ed esistenziali sono radicare perfino nei cuori di quelli che consideriamo i moderni “imperi”, dagli Usa alla Cina alla nostra Europa. È una condizione che abbraccia località remote e metropoli: ovunque ci sono persone che vivono ai margini del “progresso diffuso” e le disuguaglianze che vediamo emergere in modo lancinante ci ripetono che le periferie da considerare parte integrante della città dell’uomo sono proprio là dove non le vogliamo vedere…

A partire da questo numero il settimanale della diocesi di Torino, la Voce del popolo  -  storico foglio torinese fondato su ispirazione di san Leonardo Murialdo nel 1876 come Voce degli operai cattolici - e il Nostro tempo fondato nel 1947 come settimanale culturale dei cattolici italiani - si fondono in un’ unica testata, La Voce e il Tempo. È una sfida importante voluta dal nostro Arcivescovo per  far risuonare ancora di più in città e nella diocesi la voce della comunità cristiana: ciò accade in un momento in cui lo storico quotidiano cittadino «La Stampa»,  dopo la fusione con «Repubblica», sembra non avere più come riferimento solo la nostra città. Quale è il rapporto fra il quotidiano cattolico e i settimanali diocesani e quale consiglio può dare al nostro giornale perché possa ritrovare uno spazio autorevole in città?

È assai importante l’iniziativa de “La Voce e il Tempo”, pensata e realizzata da bravi e motivatissimi colleghi e sostenuta con convinzione dall’arcivescovo Nosiglia. Certo, mi auguro che anche “La Stampa” mantenga la sua fisionomia e svolga un gran servizio alla realtà di Torino, perché è un giornale di grande tradizione, oggi diretto da un giornalista straordinario come Maurizio Molinari, che conosco bene e stimo davvero tanto. Detto questo, però, è evidente che il tempo che viviamo sta facendo emergere e rende plasticamente palesi gli oligopoli che caratterizzano il nostro mondo informativo. Oligopoli che hanno corposi interessi non editoriali alle spalle o parole d’ordine che nella cronaca e nell’interpretazione della realtà all’insegna di quello che papa Francesco definisce “il pensiero dominante che tende a farsi unico”. È un fenomeno planetario, non solo italiano. Ma anche a me, che mi sento cittadino del mondo, preme specialmente il Paese in cui sono nato e che sento “mio”. In un simile scenario risalta l’esigenza di voci diverse: il nostro pluralismo ha subito un colpo molto duro negli anni della crisi che siamo attraversando, è scomparso quasi il 40% delle testate in circolazione in Italia prima del 2007, una morìa impressionante di testate, non tutto era buona informazione, ma tanta sì. È perciò cruciale che l’informazione di ispirazione cattolica tenga il campo, non solo facendo le giuste razionalizzazioni, ma ribadendo il proprio impegno per una cronaca di qualità. Io credo che nel tempo degli oligopoli ci sia un grande spazio e una grande responsabilità per una informazione, come quella dei giornali e periodici dove lavoriamo, che ha una vocazione universalistica e al tempo stesso di interpretazione seria dei territori, dove la nostra gente vive. Anche questo tempo ha diverse facce, e vanno raccontate tutte: sfide, difficoltà, timori, fatiche, ma anche le tante azioni di buona gente che ogni giorno fanno andare avanti il mondo, in una direzione altrettanto buona. Noi e voi, da giornalisti e da cattolici, siamo attenti a fare un’ informazione che dà “cittadinanza mediatica “ a persone che non l’hanno più o non l’hanno mai avuta. Possiamo e dobbiamo aiutare le nostre comunità a rincuorarsi, a darsi priorità sensate e coraggiose.

Torino fin dalla sua fondazione ha avuto un legame profondo con Avvenire: da sempre le vicende della nostra città e della nostra diocesi trovano spazio sul suo quotidiano. Che realtà è Torino vista da Milano, da Roma e dal Vaticano?

Torino è una città speciale perché è “capitale” e nello stesso tempo “luogo di frontiera”, una peculiarità che è certamente una ricchezza. Per questo credo sia una città che ha fatto germinare grandi cammini di bontà e di santità che incrociano la vita concreta della gente: è un luogo di mistici dell’azione, che vivono dentro la città, che sanno incidere in una realtà sociale e culturale dove la secolarizzazione ha lasciato il segno. Torino è diventata sempre più complessa, sintesi dell’Italia e del mondo e, dunque, per tanti aspetti, cosmopolita. Una condizione inimmaginabile fino a qualche anno fa, pur dopo i cambiamenti impetuosi portati dalla migrazione interna. Penso che la sfida sia quella di interpretarla come laboratorio credibile nel tempo che viene. Un tempo nel quale bisogna imparare a vivere tra diversi, preservando non solo l’identità fondativa della comunità, ma mettendola “in comunicazione” coi nuovi cittadini. Noi cristiani abbiamo una responsabilità speciale in questa impresa civile e in questo tempo. Il mio augurio a “La Voce e il Tempo” è forte, convinto e pienamente solidale. Spero di poter ancora lavorare insieme a voi tutti per dare senso forza al servizio che l’informazione di ispirazione cattolica rende in questa «capitale e frontiera».

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