Amministrative 2016. Dai cattolici "un impegno per la comunità"

Le proposte di Azione Cattolica, Acli, Mcl, Comunione e Liberazione. Le più importanti aggregazioni propongono analisi e riflessioni e lanciano la sfida per la costruizione di una nuova classe dirigente

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Amministrative 2016. Dai cattolici "un impegno per la comunità"

A pochi giorni da un voto amministrativo di grande portata, quando le notizie della campagna elettorale e della cronaca politico-giudiziaria si fanno convulse, è possibile parlare degli amministratori locali in una chiave diversa? Per esempio quella dell’impegno dei cattolici? Forse vale la pena provarci proprio in questo momento.

Con due avvertenze fondamentali: innanzitutto, la testimonianza cristiana non è mai riducibile a una questione di numeri e di etichette, anche in politica, dove pure con etichette e numeri bisogna inevitabilmente confrontarsi; in secondo luogo, pur volendosi limitare al solo laicato cattolico organizzato, si tratta di una realtà provvidenzialmente così varia e complessa che sarebbe irrealistica qualsiasi pretesa di esaustività. Fatta questa premessa, qualche elemento utile di analisi può venire dalle esperienze di tre grandi organizzazioni popolari, diffuse e radicate sul territorio e con una particolare cura per il rapporto con gli aderenti che hanno deciso di impegnarsi nelle amministrazioni locali.

L’Azione cattolica italiana, per cominciare. «Ogni anno organizziamo con loro un incontro nazionale – racconta il presidente, Matteo Truffelli – ed è sempre un appuntamento molto atteso di condivisione e di confronto. Perché questo ci chiedono, di non sentirsi isolati, di sentirsi invece accompagnati attraverso luoghi di formazione, di riflessione comune sui temi che interessano la loro attività, che siano anche occasioni per mettersi in discussione. Ciò avviene non solo a livello nazionale, ma soprattutto a livello diocesano e regionale». Truffelli tiene a sottolineare che questi momenti sono molto importanti anche per l’associazione: «Ci aiutano a non ragionare in astratto sui temi del vivere sociale, ma a situarli nella concretezza e nella complessità delle situazioni reali. E ci trasmettono anche la passione per questi temi». Dunque uno scambio positivo, arricchente, al di fuori di qualsiasi collateralismo. «Quel che noi chiediamo ai nostri aderenti impegnati nelle amministrazioni locali – spiega il presidente dell’Aci – è di impegnarsi nella costruzione di comunità inclusive, solidali, capaci di promuovere una vita buona e di prendersi cura delle persone, soprattutto di quelle più deboli»L’incontro nazionale di quest’anno non è stato ancora fissato, ma potrebbe svolgersi in autunno. Nell’ultimo incontro, quello del 2015 a Rimini, si è parlato molto di corruzione. «E’ un problema cruciale – osserva Truffelli – perché non si ci sono soltanto i singoli, vergognosi episodi di cui si viene a conoscenza. La corruzione è un cancro che mina alla radice il rapporto tra i cittadini e le amministrazioni, crea ingiustizie, impedisce alle aziende sane di lavorare, rende impossibile una buona tutela del territorio e sottrae risorse preziose alle politiche sociali». Non ci sono dati precisi su quanti aderenti all’Aci siano impegnati nelle amministrazioni locali, ma Truffelli ricorda che agli incontri nazionali partecipano alcune centinaia di persone e il numero complessivo potrebbe verosimilmente essere superiore.

Numeri precisi, sia pure in via di completamento, arrivano invece dalle Acli che hanno in corso il terzo censimento degli amministratori aclisti. Su 65 province censite ad oggi, le persone coinvolte risultano 460, tra cui 73 sindaci. Numeri pubblicati sul sito della «Fondazione Achille Grandi per il bene comune», nata per iniziativa delle Acli nel 2009. Un sito che è anche un’importante strumento di condivisione di contenuti e di proposte per chi opera nella concretezza del territorio, come spiega Roberto Rossini, presidente nazionale di recentissima elezione. Gli aclisti impegnati negli enti locali «ci chiedono competenze che li aiutino nella loro attività e le Acli hanno molto da dire sul lavoro, sulla formazione professionale, sul welfare, sul fisco, sull’immigrazione, su tutto il grande tema dei diritti sociali». Il sito è uno strumento utile, ma è nelle province e nei circoli che si fanno, praticamente da sempre, incontri di formazione mirati. E a livello locale si gestisce anche la questione del consenso che naturalmente gli aclisti amministratori e candidati si attendono dalla società civile e dall’associazione in particolare. «Le Acli non sono collaterali a nessuno – puntualizza Rossini – e quindi non si schierano con alcun partito. Ma questo non impedisce di fare informazione sulle persone e di impegnarsi direttamente su alcune questioni oggi decisive in cui forte è il ruolo delle amministrazioni locali: dai servizi sociali al gioco d’azzardo, dalle politiche abitative all’accoglienza degli immigrati. Agli amministratori aclisti chiediamo di operare sempre in una logica di bene comune, con una visione complessiva dei problemi anche a livello locale e con la capacità di guardare al futuro, perché lo sviluppo reale delle comunità richiede una prospettiva non di corto respiro. Allo stesso tempo c’è bisogno di costruire comunità resilienti, capaci di aiutare le persone e le famiglie a resistere alla crisi».

Per il Movimento cristiano lavoratori c’è una questione fondamentale da cui partire ed è la crisi della democrazia e della rappresentanza. Di qui un invito forte alla partecipazione, che nell’imminenza del voto diventa quasi un appello. “Noi cattolici dobbiamo reagire, non possiamo rassegnarci alla disaffezione verso la politica e verso la stessa partecipazione al voto che purtroppo c’è anche nel nostro mondo – afferma il presidente nazionale, Carlo Costalli – e per ricreare le condizioni dell’impegno bisogna ripartire dalla concretezza delle periferie, del territorio, anche di chi è già impegnato nelle amministrazioni locali».  Davanti ai 250 amministratori riuniti a Roma un mese fa per la Conferenza nazionale degli enti locali, Costalli ha parlato anche della necessità di non lasciare isolate le tante iniziative che pure fioriscono sul territorio. «In questa tornata ho notato una grande attenzione per le formazioni civiche, che prima erano una prerogativa dei Comuni molto piccoli ma ora si stanno sviluppando anche in realtà di dimensioni più ampie. Comunque noi non ci schieriamo aprioristicamente su blocchi contrapposti, per noi contano le persone e i programmi».

Infine anche a Torino è stato presentato il documento di Comunione e Liberazione «La politica è un bene». «Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico» (Papa Francesco a Firenze, 10 novembre 2015). Guardare dal balcone: non è forse questo l’atteggiamento di tante persone quando si parla di politica? Sopraffatti dai problemi e dalle difficoltà che a volte sembrano insormontabili, si può vivere una stanchezza della libertà e della responsabilità, che si traduce in una crescente disaffezione al voto e in una sfiducia verso qualunque formazione politica. Ma tale disaffezione e tale sfiducia non hanno origine solo nella politica; ben altra ne è la causa: una crisi dell’io di fronte al «vivere che taglia le gambe» (C. Pavese, Dialoghi con Leucò), una crisi che si manifesta come noia invincibile, misterioso letargo. C’è speranza di uscire da questa situazione bloccata, che lascia insoddisfatti e delusi? Forse basterebbe un minimo di attenzione a se stessi per riconoscere che in chiunque rimane − anche se appena accennato e perfino inconsapevolmente − il desiderio di un bene: è una «esigenza di rapporti esatti, giusti fra persone e gruppi, l’esigenza naturale umana che la convivenza aiuti l’affermazione della persona, che i rapporti “sociali” non ostacolino la personalità nella sua crescita» (L. Giussani, «Il cammino al vero è un’esperienza»). È questo desiderio, come bandiera della libertà umana, che fonda lo spirito di un’autentica democrazia: l’affermazione e il rispetto dell’uomo nella totalità delle sue esigenze di verità, bellezza, giustizia, bontà e felicità. Tutto il gioco della vita sociale dovrebbe avere come scopo supremo quello di mantenere vivo e alimentare il desiderio da cui scaturiscono valori e iniziative che mettono insieme gli uomini. Nel 1992, in un momento nel quale il nostro Paese era investito da un terremoto politico-giudiziario, don Giussani non rimase a guardare la vita dal balcone, ma offrì il suo contributo invitando a scommettere proprio sul desiderio: «Chissà se questo desiderio di rendere meno difficile la vita dei propri figli, o di un dato gruppo di persone, sfondi a un certo punto l’orizzonte. Cioè, se chi ha questo desiderio capisca che, per poterlo realizzare, ha bisogno di un ideale, di una speranza. Io penso che si possa sperare questo» (Corriere della Sera, 18 ottobre 1992).

Come cristiani apparteniamo a una realtà che alimenta questa speranza e che ci lancia in un interesse per tutta la realtà, a cominciare dai rapporti più intimi e familiari fino alle vicende del mondo. Come ha detto papa Francesco a Firenze: «Dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile. I credenti sono cittadini». Chi si candida alle prossime elezioni amministrative può farlo per ritagliarsi la sua piccola fetta di potere, alimentando così la stanchezza della libertà e della responsabilità della gente; oppure può mostrare che si può cercare il bene comune – con umiltà e senza tornaconto personale − attraverso il dialogo e l’incontro. Ogni candidato può testimoniare che la politica è un bene, operando con realismo e prudenza, senza fare promesse che non può mantenere. Occuparsi del bene di tutti in una amministrazione locale è esso stesso un bene, perché significa contribuire a fare delle nostre città una casa abitabile per tutti e per ciascuno. Il documento ha suscitato delle reazioni come quella di Giampiero Leo: «Sono veramente colpito e felice per la riflessione prodotta dal movimento di Comunione e Liberazione. Innanzitutto perché si pone - come da sempre auspicato da don Carron - in piena e feconda sintonia col pensiero di papa Francesco. Papa Francesco infatti ha dedicato passaggi importantissimi dell'Evangeli Gaudium e di tanti suoi discordi alla necessità che il cattolico si impegni in politica fino a dichiarare: ‘un buon cattolico si immischi in politica offrendo il meglio di se...’ Inoltre il documento di Cl fa un passo avanti affermando che oggigiorno, travolti dal clima dominante ‘si può vivere una stanchezza della libertà e della responsabilità’, sottolineando poi, che tale disaffezione e tale sfiducia non hanno origine solo dalla politica ma da una crisi dell'io. Concludendo quindi che il cristiano è chiamato a vivere con pienezza ed entusiasmo un messaggio che riguarda tutti gli aspetti della vita: non occuparsi di politica vorrebbe dire amputare un pezzo della vita e rinunciare a misurarsi con coraggio nella costruzione del bene comune».

 

Fonte: Sir
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