Alle urne per scegliere tra Repubblica e Monarchia

Nel 1946, dalle urne di un’Italia povera, giovane ed entusiasta, nascevano la Repubblica e la Costituzione

Parole chiave: urne (1), voto (5), costituzione (22), repubblica (17), referendum (20)
Alle urne per scegliere tra Repubblica e Monarchia

«Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so». Le parole di Sant’Agostino nelle sue Confessioni rendono tutta la difficoltà di trasmettere il senso del tempo che passa, la distanza incolmabile che separa il presente dal passato (ogni passato) e, insieme, i legami  altrettanto indissolubili che uniscono tra loro le epoche- mentre la tentazione più facile, nella nostra contemporaneità, appare proprio quella di appiattire il passato in un eterno presente, o, al contrario, di confinarlo laddove non possa più avere alcun valore per noi.

Settant’anni esatti ci separano dalla nascita della Repubblica- era il 2 giugno del 1946, quando, a ventidue anni dalle ultime elezioni della Camera dei Deputati (quelle che portarono al delitto Matteotti e alla trasformazione del Fascismo nella «dittatura a viso aperto»), 28 milioni di Italiani e Italiane (prima volta in assoluto per le donne) sopra i 21 anni furono chiamati a scegliere «sulla forma istituzionale dello Stato» (questa la dicitura che compariva sulla scheda elettorale: monarchia o repubblica?) e, contestualmente, ad eleggere i 556 membri dell’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto stendere la nuova Carta fondamentale dello Stato.

Sette decenni: il fossato è ampio o stretto? È larghissimo: l’Italia di allora usciva da vent’anni di dittatura e cinque anni di un conflitto che per il nostro Paese era stato insieme uno scontro tra eserciti combattuto con ferocia inaudita, l’occupazione di una potenza straniera e una guerra civile caricata di valenze morali ed ideologiche; era un Paese giovane e povero - molto di più di quanto non sia possibile immaginarcelo oggi - e che mostrava entusiasmo per la rinnovata capacità di decidere e di autodeterminarsi: alle urne si recò l’89% della popolazione, le cronache riportano code da ben prima che aprissero i seggi, i comizi affollavano le strade e le piazze, ma il tutto si svolse in un’atmosfera in qualche modo consapevole della solennità del momento. «L’Italia ha votato come se da secoli fosse abituata a farlo»- osservava l’editoriale de «La Stampa» di martedì 4 giugno 1946- e gli stessi Italiani, «tante volte deprecati individualisti, essi gli adoratori del «proprio particolare» hanno mostrato di possedere il senso della «collettività», hanno ritrovato il significato magico e demiurgico del «demos» che fa la grandezza e promuove la Storia».  E la Storia, forse nel modo più esplicito se si considerano le vicende dell’Italia unita, portò alla rottura netta con il passato: seppellita l’esperienza monarchica (oltre il 54% di consensi per la Repubblica), vincitori, nelle elezioni per la Costituente, i partiti di popolo che avevano traghettato il Paese fuori dalla guerra (tre quarti dei consensi andarono a Democrazia Cristiana, Socialisti e Comunisti).

Allo stesso tempo, quanti fili che ci permettono di scorgere in quel passato il nostro presente: sarebbe facile (e certo non del tutto sbagliato) scorgere nella divisione in due della Penisola (il Nord e le «Regioni Rosse» a netta prevalenza repubblicana, il Sud schierato massicciamente con i Savoia), nel sospetto di brogli, nei ricorsi, nelle incertezze e nelle accuse che seguirono il voto (la Repubblica sarà ufficialmente proclamata solo il 18 giugno), vizi senza tempi del nostro Paese. Ma in fondo, il tratto di unità più forte tra presente e passato sta proprio in quella liturgia elettorale di massa che per la prima volta coinvolse tutto il Paese; un filo lungo settant’anni e decine e decine di altre elezioni- incluso il prossimo referendum costituzionale-  rese possibili da quel primo momento «catartico». E dalla Costituzione repubblicana, che del 2 giugno 1946 è il frutto più longevo e prezioso.

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