Aborto, la sfida è sul piano dell’etica pubblica a favore della vita

La pretestuosa iniziativa del Consiglio d'Europa nei confronti dell'Italia la risposta della consulente del Ministero della Sanità Morresi e la riflessione del prof. D'Agostino, presidente dei Giuristi cattolici

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Aborto, la sfida è sul piano dell’etica pubblica a favore della vita

“Dati alla mano non esiste un problema di numerosità, se esiste un problema è semmai di accesso ed è dovuto alla mancanza di organizzazione locale”, così Assuntina Morresi, consulente del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, commenta la censura di ieri dell’Italia da parte del Comitato dei diritti sociali del Consiglio d’Europa relativamente alla presunta difficoltà di abortire nel nostro Paese.

“Come ha giustamente rilevato il ministro Lorenzin, il comitato ha preso la sua decisione sulla base di numeri non aggiornati, risalenti al 7 settembre 2015, che avevano solo i dati delle medie regionali – spiega Morresi -.Alla fine di ottobre 2015 è invece stata depositata in Parlamento la Relazione annuale di attuazione della legge 194 che contiene i dati dettagliati di carico di lavoro Asl per Asl. Sì è così potuto individuare con precisione che, nei due casi peggiori in cui ci si discosta dalla media nazionale (che è di 1,6 interruzioni volontarie di gravidanza a settimana), ovvero in una Asl nel Lazio e una in Sicilia, gli interventi sono rispettivamente 9,4 e 9,6 a settimana: mezza giornata di lavoro”.

Pertanto, chiarisce, “se c’è una criticità è di organizzazione a livello locale e spetta alle Regioni ovviare attraverso l’uso della mobilità. Ma nemmeno ci si può aspettare che in tutte le strutture italiane ci sia un servizio di Ivg, così come non in tutte le strutture è presente un punto nascita o ortopedia”. “La mala organizzazione di singoli centri – conclude Assuntina Morresi – non significa che in Italia l’aborto sia negato alle donne”.

L’obiezione di coscienza costituisce una “sfida sul piano dell’etica pubblica”. Nel caso dell’aborto, “il vero obiettivo di un obiettore” non è “ottenere un’esenzione personale da un obbligo legale”, ma “dare una testimonianza fondamentale a favore della vita”, sostiene Francesco D’Agostino, professore ordinario di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, e presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci). Commentando la critica di ieri del Comitato dei diritti sociali del Consiglio d’Europa all’Italia per una presunta difficoltà di abortire nel Paese, D’Agostino osserva che sotto questo profilo “l’altissimo numero dei medici obiettori” possiede “una valenza rivelativa”. Per il giurista, il problema sollevato ieri è anzitutto di natura etica, “anzi etico-sociale”.

“Se credo che quella prenatale sia autentica vita umana e non possa essere uccisa da pratiche abortive, ma vada sempre e comunque salvaguardata – spiega -, non posso non auspicare che le mie scelte etiche individuali possiedano anche e soprattutto un valore pubblico”. Con il suo portato di testimonianza “l’obiezione è chiamata a suscitare processi di imitazione da parte di altre persone, che, al limite, potrebbero sfociare nel superamento universale di pratiche che l’obiettore ritiene che debbano essere assolutamente riconosciute da tutti come inaccettabili”. Per quanto riguarda la legge 194, fa notare, nel momento stesso in cui lo Stato riconosce l’obiezione di coscienza a tutto il personale medico e sanitario che dovrebbe prestare la sua assistenza all’aborto volontario, “riconosce implicitamente” che essa “non possiede un fondamento etico-sociale assoluto, ma relativo, come dimostra il fatto che ove tutti i medici divenissero obiettori la pratica dell’aborto volontario medicalizzato si rivelerebbe impraticabile”.

Di qui “l’eticità dell’obiezione di coscienza” e “il suo carattere di sfida sul piano dell’etica pubblica, di denuncia dell’immoralità delle pratiche cui l’obiettore decide di sottrarsi, del tentativo di orientare diversamente la legislazione del paese”. “Cerchiamo di alzare il tono del dibattito”, l’invito di D’Agostino, perché la posta in gioco “non è quella del diritto dei medici ad obiettare o quella delle donne ad abortire, ma è quella di non banalizzare l’aborto stesso, riducendolo a un intervento sanitario come un altro”. La legalizzazione dell’aborto, conclude, “è la più grande lacerazione etico-sociale del nostro tempo, inferiore soltanto, probabilmente, ai genocidi novecenteschi: gli obiettori di coscienza ci aiutano a non dimenticarlo”.

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