Villaggio Moi, Nosiglia: blindare il quartiere una sconfitta per tutti

La dichiarazione di Mons. Nosiglia. Il sindaco Chiara Appendino ha chiesto aiuto alla Compagnia di San Paolo per il ricollocamento di 1.500 profughi abbandonati che stanno occupando, da anni, l’ex Villaggio Olimpico «Moi» in via G. Bruno. Sergio Durando, direttore della Pastorale Migranti della diocesi, sollecita progetti di integrazione vera

Parole chiave: Moi (4), Torino (730), Appendino (13), sindaco (16), profughi (55), migranti (82)
Villaggio Moi, Nosiglia: blindare il quartiere una sconfitta per tutti

Un quartiere blindato è una sconfitta per tutti. Gli scontri, gli episodi di violenza e intolleranza che hanno reso necessario l’intervento delle forze dell’ordine nell’area dell’ex Moi sono un segnale che non può passare sotto silenzio, per la nostra città come per la Chiesa.   I problemi di convivenza e di integrazione esistono e non si possono né negare né nascondere. Ma la forza di una società consiste anche nel saperli affrontare partendo da un patrimonio di valori comuni: il rispetto reciproco di ogni persona per gli altri; il senso «civico» del vivere nel medesimo territorio, con i doveri e i diritti che ciò comporta. Il cammino dell’integrazione va portato avanti con la doverosa attenzione a tutte le persone che abitano i quartieri,nessuno escluso, promuovendo rapporti sereni di incontro e di dialogo. Allo stesso modo sono da condannare le provocazioni gratuite e violente, da qualunque «parte» provengano.In questi anni la Chiesa torinese ha preso parte con convinzione alle iniziative per costruire un’integrazione autentica fra residenti e «nuovi arrivati» nel quartiere dell’ex Moi, collaborando con la Città di Torino e con le associazioni di promozione sociale che intendono compiere il proprio lavoro nei termini della legalità. L’impegno della diocesi non si ferma. La scorsa settimana le istituzioni, le forze sociali, il mondo del lavoro si sono riuniti al tavolo dell’«Agorà del sociale» per confrontare i progetti comuni di un nuovo welfare: è in questa cornice  che vanno ricercate le vie piu’ appropriate per affrontare e risolvere con l’apporto convergente di tutti, le situazioni più problematiche che assillano la nostra città.

Torino intende velocizzare lo sgombero delle palazzine dell’ex Moi, in via Giordano Bruno, che nel 2006 ospitarono il villaggio olimpico e da quasi quattro anni sono occupate da centinaia di senzatetto e il campo nomadi di via Germagnano.

Lo ha ribadito più volte nei giorni scorsi il sindaco del capoluogo piemontese Chiara Appendino, che in queste ore sta cercando le risorse per censire e ricollocare le persone presenti.  

Nei giorni in cui l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha reso noto il bilancio dei migranti e rifugiati morti nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l'Europa (4.621 decessi da inizio anno a metà novembre 2016) le intenzioni politiche di Torino e Milano hanno trovato un punto di incontro. Mentre Giuseppe Sala, primo cittadino di Milano, mostrava i muscoli lombardi «ripulendo» l’area di Rogoredo da spaccio, degrado e criminalità - tentativo peraltro già sperimentato in passato, evidentemente invano, ma utile stavolta a richiamare l’attenzione del ministro dell’Interno Angelino Alfano che ha promesso l’invio dei militari – il sindaco di Torino Chiara Appendino si è confrontata con il collega meneghino sulla questione, facendo riferimento agli sgomberi dell’area ex Moi dagli occupanti, in prevalenza migranti e rifugiati, e del campo di via Germagnano dove vivono numerose famiglie di nomadi. Sarebbero questi due i desiderata prioritari in materia di sicurezza per la numero uno di Palazzo di Città. Priorità ribadite anche due settimane fa in occasione di una visita al centro polifunzionale «Teobaldo Fenoglio», gestito dalla Croce Rossa, a Settimo Torinese. Lì sono ospitati circa 600 migranti e oltre all’accoglienza e all’integrazione di chi cerca asilo in Italia, proseguono le attività di protezione civile come il lavoro per le zone terremotate, la mensa sociale e la formazione.

«Ringrazio la Croce Rossa Italiana per l'enorme sforzo che sta facendo per avviare percorsi d'inclusione per le persone richiedenti asilo e protezione», ha dichiarato Appendino durante la visita settimese, «il centro Fenoglio è sicuramente un modello da guardare con grande attenzione, ma dobbiamo lavorare tutti insieme per migliorare la prima accoglienza. È necessaria la partecipazione di tutti i Comuni». Partecipazione che passa anche dalle risorse che Torino, come Milano, non hanno perso occasione di reclamare alle istituzioni superiori, Governo in primis.

Negli ultimi giorni Appendino ha bussato anche alla porta della Compagnia di San Paolo. La richiesta è di collaborare al finanziamento della «fase due». La Fondazione sembra disponibile ma a patto che il progetto sia lungimirante ed efficace in ottica di inserimento sociale e lavorativo. Anche Prefettura e Questura appaiono intenzionate a velocizzare i tempi per entrambi gli sgomberi e l’amministrazione comunale, in linea con il programma, sogna un intervento graduale. All’ex villaggio Olimpico l’iter prevede censimento, sgombero e ricollocamento. E poi via alla fase due: «dalla sicurezza alla sanità». Il futuro prossimo in via Giordano Bruno è la realizzazione di un polo universitario, nonostante dei due attori accademici - Politecnico e Università degli Studi di Torino - solo il primo sia rimasto disponibile a percorrere questa strada. Dal canto suo la Regione Piemonte ha «raddoppiato l’offerta», mettendo a bilancio 40 milioni di euro per il finanziamento del progetto, il doppio rispetto alla cifra preventivata inizialmente.

Le reazioni – «Oltre a liberare gli edifici, esiste il problema delle persone», spiega Sergio Durando, direttore della Pastorale Migranti della diocesi, «i numeri sono cresciuti, 1.500 persone sono quasi una città, e le priorità, come ha sottolineato anche la Compagnia di San Paolo, riguardano la progettualità futura». «In presenza di proposte concrete», aggiunge Durando, «ci immaginiamo uno sviluppo positivo del percorso di queste persone. Nei mesi scorsi abbiamo verificato che, anche tra gli occupanti dell’ex Moi, chi è stato supportato nell’inserimento lavorativo ha manifestato voglia di integrazione. Ad esempio chi ha iniziato un tirocinio e poi è stato assunto si è trasferito vicino alla sede di lavoro. Per questo ribadisco che occorre favorire l'autonomia e l'inserimento reale e concreto a livello formativo, lavorativo e abitativo, temi su cui siamo disponibili a collaborare». 

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