Non si può chiudere gli occhi, la sfida dei rifugiati

Il direttore dell'Ufficio per la Pastorale dei Migranti della diocesi di Torino su "La Voce e il Tempo" illustra l'impegno di enti locali, diocesi e Compagnia di San Paolo sul caso "Moi"

Parole chiave: rifugiati (30), migranti (82), profughi (55), analisi (3), Torino (730), ex Moi (3)
Non si può chiudere gli occhi, la sfida dei rifugiati

Proclami, promesse, slogan, facili ricette, semplificazioni… Da anni, una storia che si ripete, gli accordi con la Libia c’erano già stati, poi abbiamo visto quelli con la  Turchia, e ora il nostro piano Minniti potrebbe diventare un modello europeo. Difficile districarsi tra tante e continue informazioni. Sta forse vincendo la paura? Si forse ha vinto, c’è tanta preoccupazione circa l’impatto sociale e culturale che gli immigrati possono avere sulle nostre comunità.

La chiave di lettura che l’Unione Europea continua a fornire ai suoi cittadini rispetto al tema delle migrazioni sembra ripetersi. Il vertice tra Francia, Germania, Italia e Spagna, allargato ai leader di Libia, Niger e Ciad, tenutosi a Parigi il 28 agosto, definisce «strutturale» il fenomeno dei flussi migratori, ma afferma che non esistono soluzioni immediate. L’Italia viene applaudita per il governo dei flussi 2017, che ha registrato ad agosto un’inflessione dell’86% degli sbarchi rispetto allo stesso periodo del 2016. Anche le morti nel Mediterraneo sono diminuite, ma tutti sappiamo che l’intesa tra Italia e Libia, definita esemplare da Macron e Merkel, sta uccidendo migliaia di persone nel deserto e tenendone imprigionate tante altre in centri di detenzione.

Il prossimo appuntamento è previsto per il prossimo ottobre in Spagna, alla vigilia del vertice Ue-Africa. Si farà il punto su quanto è stato deciso nell’incontro del 28 agosto e si parlerà di distribuzione delle quote. Anche questo già sentito… la relocation che non ha funzionato!

Il disegno è chiaro: spostare sulla sponda africana del Mediterraneo la prima «accoglienza» di migliaia di persone. Secondo quanto stabilito dal vertice parigino, sarà quella la sede in cui i migranti verranno divisi tra le due categorie «richiedenti asilo» ed «economici». I primi potranno raggiungere la terra europea, gli altri verranno fatti rientrare nei loro paesi. La presenza dell’Oim e dell’Unhcr dovrebbe garantire il rispetto dei diritti umani di queste persone, in Paesi instabili politicamente, dove è difficile pensare che il tema del rispetto dei diritti umani diventi prioritario nel governo di flussi migratori provenienti da buona parte del Continente africano. Gli stessi paesi da cui continuano ad arrivare racconti e testimonianze agghiaccianti di torture e violenze, spesso di morte.

Spostare il problema. Questa è la nostra priorità. Allontanare dalla nostra vista e dalla nostra coscienza la visione della povertà, delle ingiustizie, delle responsabilità. L’Italia sostiene di non volersi tirare indietro. Il nostro Primo Ministro afferma di voler continuare la tradizione di accoglienza italiana e per questo sosterrà economicamente, insieme all’UE, gli Stati africani in questa operazione di regolamentazione dei flussi migratori.

L’Italia, secondo Gentiloni, è un Paese che accoglie. Ma ancora una volta è difficile pensare a una realtà unica in Italia. Prendiamo la città di Roma, per esempio. Quanto è successo nel mese di agosto in piazza Indipendenza ci ha riportato immagini di violenza, scontri, che alla fine avranno pur liberato uno stabile ma non hanno risolto il problema delle persone. Certo l’occupazione è un reato, ma le persone valgono ancora qualcosa? Sono un migliaio le case occupate nelle grandi città italiane, dove vivono italiani e migranti. Il manganello e gli idranti per fortuna non sono la sola risposta dei governanti del territorio.

In questi giorni si parla di Torino, come di una città modello, dove il fenomeno dell’occupazione illegale delle case esiste, ma è stato gestito e affrontato in modo innovativo e condiviso. Personalmente non so se la Città sabauda possa diventare un modello, ma posso affermare che a Torino, sul tema delle migrazioni, la Città ha saputo nei decenni affrontare l’argomento in modo plurale e condiviso con le molte anime che la contraddistinguono. A partire dal ricco tessuto associativo presente da decenni sul territorio, a una Chiesa attiva, pronta a mettersi a disposizione della collettività e ad amministrazioni pubbliche capaci di creare reti attorno ai vecchi e nuovi fenomeni sociali. Ieri come oggi, la Chiesa anche al suo interno dibatte e si confronta su come e quanto può offrire alla comunità laddove sia necessario aiutare e sostenere l’amministrazione locale nella gestione di fenomeni crescenti, quali per esempio, quelli delle occupazioni illegali di strutture pubbliche e private. Mettendo a disposizione risorse umane, partecipando a tavoli di progettazione delle soluzioni possibili, strutture in cui ospitare gratuitamente i senza fissa dimora, sostenendo progetti di inserimento sociale e lavorativo delle persone in difficoltà.

Attualmente la Diocesi di Torino è tra gli enti coinvolti nella gestione della ricollocazione degli abitanti delle case occupate Ex-Moi. Ed è, tra le altre cose, promotrice di un progetto complesso e ambizioso che sta permettendo a una settantina di rifugiati di prendere parte alla riqualificazione fisica e sociale di una struttura dagli stessi occupata nel 2013, di proprietà della Congregazione dei Missionari de La Salette. «Trasformare l’inopportuno in opportunità», così mons. Cesare Nosiglia ha commentato il progetto partecipato de La Salette, per il quale la Diocesi di Torino ha trovato i finanziamenti e ha promosso la creazione di un’equipe di lavoro multidisciplinare per trasformare un ex Pensionato occupato in casa di «passaggio» per rifugiati finiti fuori dai progetti di accoglienza, ma non ancora autonomi.

Dobbiamo continuare a credere nelle relazioni umane, creare esperienze di fraternità e conoscenza reciproca, forse unico antidoto alla paura, perché non ci sovrasti e ci acciechi. I nostri occhi dovrebbero rimanere aperti e curiosi per non perdere la strada. Il coraggio di seminare nella quotidianità, nel silenzio continuando a credere che ogni uomo è mio fratello e ogni donna mia sorella…

* direttore Ufficio diocesano Migranti 

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