Torino 2006-2016, ripartire dal capitale umano

Intervista a Roberto Daneo, direttore dei rapporti con il territorio nel TOROC ed esperto di grandi eventi

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Torino 2006-2016, ripartire dal capitale umano

Il 10 febbraio si celebrano i 10 anni dalle Olimpiadi di Torino 2006,  Roberto Daneo, funzionario europeo, che è stato del TOROC direttore dei rapporti con il territorio e ha lavorato per la candidatura e la realizzazione dell’Expo di Milano, racconta la sua esperienza.

Giochi di Torino e delle valli come hanno cambiato la percezione del nostro territorio nel mondo?

Quando Torino si candidò per i Giochi Olimpici Invernali 2006 aveva già compiuto un importante passo verso un piano strategico di lungo periodo. Bisognava intervenire per cambiare la visione della città e in questo senso la grande sfida olimpica.  Torino era percepita come una «One company town» anche se già allora non era più così’ (ndr parliamo della fine degli anni Novanta) ed era necessario un nuovo approccio e riposizionando l’ex capitale sulla mappa geografica e nella considerazione generale internazionale, come un territorio capace di modernizzarsi e cambiare, anche se in parte, fisionomia. Una città che si faceva fatica a collocare se non affiancandola a Milano nei cui pressi si trova ed era anche importante porre Torino in un rapporto rinnovato e moderno con le sue montagne, «Torino città delle Alpi» è stato un progetto fondamentale  in quegli anni. Compensare dunque un declino industriale che sarebbe dovuto essere realizzato attraverso un modello diversificato in campo economico, culturale e sociale, tenendo conto della primaria ma non unica vocazione industriale. Una situazione simile a quella che si era verificata un decennio prima con Barcellona 92. Dal mare della Catalogna alle montagne di Torino.  La scelta di candidare Torino era stata dunque presa per valorizzare e proporre il suo patrimonio culturale e artistico, da troppo tempo abbandonato e poco conosciuto oltre i confini nazionali e internazionali. Da questo punto di vista questa sfida è stata vinta in considerazione dei dati che emergono rispetto al riposizionamento di Torino anche nel settore turistico, con il passaggio da 1 milione a 6 milioni di visitatori dal 2004 al 2015. Solo un grande evento può favorire questo processo di cambiamento. E così è stato anche per Torino, con aspetti positivi senza dubbio maggiori rispetto a quelli negativi.

Ha avvertito un cambio d mentalità nella comunità torinese e il suo territorio oppure è stata solo una fiammata?

C’è stata da un lato Torino ha cercato di investire su grandi eventi, anche appuntamenti storici o congressi ed eventi sportivi e culturali. Anche se ritento che non sempre si è valorizzata la città e coinvolta come si sarebbe potuto fare. Forte senso di iniziativa ma anche non troppa voglia di farsi contaminare. Quindi un atteggiamento ambivalente che è stato accentuato anche dalle condizioni contingenti. Nessuno avrebbe immaginato che solo due anni dopo il 2006 si sarebbe abbattuta la più grande crisi economica del Secondo dopoguerra. Nonostante ciò Torino ha resistito ed ha tentato di proporsi diversa dal suo passato: soprattutto se pensiamo il settore culturale  e artistico.  Si avverte nella comunità torinese la difficoltà di accettare un’idea di contaminazione di persone che arrivano anche dall’esterno. Oggi con due grandi Università e un sistema di mobilità questo è l’orizzonte di una città che deve puntare sulla ricerca e l’innovazione.

Come avete governato le «crisi» nella fase di preparazione dei Giochi e cosa non ha funzionato dopo?

La questione dell’Alta velocità nasce un difetto inziale. Non aver comunicato cosa vi fosse alle porte prima ancora di iniziare a progettare ed aderire al progetto Europeo. Si parla di aree di montagna e valli che hanno subito nei decenni passati trasformazioni anche molto pesanti per le nuove infrastrutture di trasporto. Ancora oggi rimane un’ostilità diffusa anche per la scarsa capacità di interagire con gli abitanti dei territori, cosa che al contrario è avvenuta per le Olimpiadi, evento naturalmente imparagonabile alla Tav, ma molto importante per le Valli coinvolte. Condividere le scelte sulle aree degli impianti da realizzare e sul rifacimento delle infrastrutture e il conseguente miglioramento dei trasporti. Questo atteggiamento ha pagato in positivo. Certamente vi sono stati degli antagonisti nei confronti dei Giochi e abbiamo subito delle intemperanze durante il passaggio della Torcia, ma tutto alla fine si è stemperato. Le Olimpiadi sono state  utilizzate dagli oppositori della Tav come vetrina internazionale per protestare contro la costruzione della linea ferroviaria. Molte delle scelte del Comitato Organizzatore sono state obbligate e definite in un quadro di compromesso con il Governo nazionale, il Coni e le Federazioni e, in ogni caso, tardi è partita la Fondazione Post-Olimpica. Tutti sapevano che gli impianti del Trampolino di Pragelato e del Bob a Cesana avrebbero avuto dei problemi gravi di gestione nel post-olimpico e solo una programmazione delle Istituzioni sportive (nascita di una scuola di praticanti nazionale e internazionale e l’inserimento stabile nei calendari di Coppa del mondo delle discipline di ghiaccio e neve) avrebbe potuto evitare il loro abbandono. Sull’impiantistica  stiamo stati penalizzati dal fatto che anche a livello di circuito internazionale degli sport invernali si è favorita l’area del Nordest a scapito del Piemonte e quindi delle strutture costruite per Torino 2006. La seconda realtà negativa che solo in parte è stata recuperata all’edilizia popolare, alla nuova sede dell’Arpa e le federazioni sportive, sono le arcate dell’ex Villaggio Olimpico. Tanti i progetti e i tentativi.  Il luogo è fatiscente ed è evidente che si dovrà operare per trovarne un utilizzo, la Città sta lavorando in questa direzione, per esempio nell’area sorgerò la Città della Salute e sta sorgendo il Grattacielo della Regione. Altri impianti invece sono diventati patrimonio della città e utilizzati in modo polifunzionale: sport, concerti, arte e convention. Una nota positiva infine per i villaggi olimpici di montagna di Sestriere e Bardonecchia, con turisti che arrivano da ogni parte d’Italia e d’Europa.

 

Eredità immateriale e capitale umano. Come Torino 2006 ha cambiato la vita professionale di molte persone

Intanto l’esperienza del volontariato è stata importantissima, le professionalità hanno saputo riconvertirsi ed è nato un nucleo, sicuramente minoritario rispetto a coloro che hanno lavorato al TOROC, esperti di grandi eventi in tutto il mondo. Ma non solo che ha avuto il coraggio e la capacità di proporsi in molti settori dall’informatica alle nuove tecnologie, alla grafica alla logistica portando in dote la propria esperienza. Purtroppo queste competenze si sono disperse e trasferite. Molte persone hanno lasciato la città, non potendo riversare su di essa  ricadute positive.

Da Torino 2006 all’Expo 2015, manifestazioni e grandi eventi limiti e pregi. Lasciano un’eredità oppure sono straordinari momenti di sviluppo?

Tutto dipenda da come si imposta il lavoro, lo si pianifica e lo si inserisce in un quadro che va oltre le attese del momento dell’evento. I piani di realizzazione dei Giochi Olimpici devono inserirsi nei piani di lungo periodo di una città. Immaginato e costruito secondo una massima di Seneca ‘non esiste nessun vento favorevole per un marinaio che non sa dove andare’. Fare degli investimenti è fondamentale per poter dare alla propria comunità dei benefici che possano essere concreti e dunque aprire una circolo virtuoso di trasformazione che comporta qualche battuta d’arresto, ma che, se ben strutturata, apre a nuove possibilità di sviluppo. Questo deve essere un monito per chi come Roma si accinge ad una nuova sfida come Roma 2024.

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