Dottori Ciotti, Rigoldi e Colmegna quando la strada insegna

L'Università di Milano ha conferito ai tre preti la laurea honoris causa in comunicazuie per la loro opera di azione educativa

Parole chiave: ciotti (8), colmegna (1), rigoldi (1), milano (21), università (76), comunicazione (28), educazione (29)
Don Luigi Ciotti

«Il Senato accademico dell’Università di Milano approva la proposta di conferimento della laurea ma­gistrale in Comunicazione pub­blica e di impresa a don Luigi Ciotti, don Virginio Colmegna e don Gino Rigoldi, per il lo­ro prolungato e straordina­rio impegno in favore dei di­ritti dei più de­boli, della costruzione di relazioni so­ciali più eque e dell'educazio­ne alla legalità costituziona­le».

Questa la motivazione del conferi­mento delle lauree il 4 dicembre all’inaugurazione dell’anno accademico, nell’aula magna della Statale. Il rettore Gianluca Vago ha attribuito tre lauree honoris causa ai tre «preti di frontiera» tra i più noti d’Italia. Il torinese don Luigi Ciotti, classe 1945, fondatore del Gruppo Abele e dell’Associazione Libera. Il milanese di Saronno (Varese) don Virginio Colmegna, classe 1945, già direttore della Caritas ambrosiana, fondatore e presidente della Casa della carità. Il milanese del quartiere Crescenzago, don Gino Rigoldi, 75 anni, da una vita cappellano dell’istituto penale per minorenni «Cesare Beccaria», fondatore della «Comunità nuova».

Il presidente del Senato Pietro Grasso dedica qualche parola ai suoi «tre amici, una laurea a tre testimoni del loro tempo Abbiamo bisogno di persone come loro. Persone che con il loro senso di responsabilità e il loro spirito etico danno l'esempio alle giovani generazioni per cambiare il Paese».

Esordisce don Ciotti: «Non chiamateci “preti di strada”, siamo preti e basta. Ogni ulteriore qualifica è di troppo. Dire preti di strada non ha senso perché il Vangelo e la strada sono inseparabili. La strada è l'incontro con Dio e incontro con le persone, è la saldatura fra terra e cielo. Vivere il Vangelo non vuol dire soltanto insegnare e osservare la dottrina. Vuol dire prima di tutto incontrare e accogliere, avendo come unico criterio i bisogno e le speranze delle persone». Tempo fa in un’intervista a Rai 3 ha detto: «Sono felice di spendere la mia vita a saldare la terra con il cielo».

I tre sacerdoti si conoscono da almeno quarant'anni e sono spesso stati assieme combattendo le stesse battaglie a fianco dei poveri, degli immigrati, degli ex drogati, dei malati di Aids e in difesa della legalità. Tutti e tre sono tra i fondatori del Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza (Cnca).

Fin dagli anni Sessanta don Ciotti, con il Gruppo Abele fondato nel 1965, si è battuto contro le leggi che penalizzavano i tossicodipendenti e che non colpivano il narcotrafficanti. «Casa della carità» e Gruppo Abele hanno varato diversi progetti comuni. Per don Ciotti «il “noi” è la chiave del cambiamento: un noi praticato e vissuto dove si accantonano egoismi e individualismi. Significa lasciar da parte i personalismi, la presunzione di essere indispensabili».

Parole importanti per uno dei volti simbolo dell'Italia che si oppone alla criminalità e che è stato recentemente minacciato dal boss dei boss Totò Riina. «Contro la mafia seguo il Vangelo – ha risposto -. Per me l’impegno contro la mafia è da sempre un atto di fedeltà al Vangelo, alla sua denuncia delle ingiustizie e delle violenze, al suo stare dalla parte delle vittime, dei poveri, degli esclusi. Al suo richiamarci a una “fame e sete di giustizia” che va vissuta a partire da qui, da questo mondo».

Don Ciotti non poteva che rispondere appellandosi al Vangelo – nel quale Gesù dice: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Giovanni 15,20) - alle proterve minacce del boss dei boss Totò Riina, rinchiuso nel carcere milanese di Opera e che, nonostante il regime duro del 41 bis, nelle ore d’aria manda in giro messaggi minacciosi.
Don Colmegna nella «lectio magistralis» ringrazia l’Università di Milano spiegando che questo riconoscimento «è occasione per ripensare al senso profondo di essere “preti di strada”. Siamo preti che vivono con una forte motivazione evangelica il partire dalla strada come scelta di vita, che non si stancano di comunicare che l'incontro con i poveri non è una relazione dove li si utilizza per esercitare bontà, ma come dice Papa Francesco essi sono una categoria teologica. La strada non è il luogo speciale dei più eroici, degli attivisti originali, ma è la condivisione di un cammino di ospitalità».

Parlando poi con i giornalisti don Colmegna, che fu messo dal cardinale Carlo Maria Martini a capo della Caritas ambrosiana, ha espresso tutta la sua preoccupazione per la situazione nella quale si trova Milano. «Milano sta esplodendo - ha detto parlando delle periferie - Si avverte molto il dramma della gente e c'è il forte rischio di una guerra tra poveri. L’attuale situazione non deve essere teatro di dibattito, ma bisogna fare cose concrete. Bisogna stare nel mezzo perché una città sta bene quando si parte dalle periferie».

Il professor Nando Dalla Chiesa ha tenuto una prolusione ricordando che «i tre preti sono persone che hanno militato per lunghi decenni dalla parte degli ultimi, i senza casa, i giovani evirati dalla droga, gli emarginati, i malati senza speranza di Aids, i migranti, Senza mai domandare se avessero un dio o quale fosse. Hanno svolto così servizio caratteristico dell'università all'interno della società in cui opera, portando in questa attività formativa i frutti di un sapere cresciuto sul campo. Hanno dovuto svolgere una forma continua e multiforme di comunicazione». Nando Dalla Chiesa è professore associato di Sociologia della criminalità organizzata, Gestione e comunicazione d'impresa e Sociologia dell'organizzazione proprio presso l’Università di Milano ed è presidente onorario di «Libera», l'associazione contro le mafie fondata da don Ciotti.

Don Rigoldi, cappellano del carcere «Beccaria», ha detto che «questo titolo in Scienza della comunicazione mi piace molto perché tocca il lavoro quotidiano che faccio da tempo e da questa nasca una relazione. Cercare di ascoltare e di capire, anche i ragazzi del carcere, mi è sempre sembrato necessario per aiutarli a capire quel che era successo e per aiutarli a costruire il futuro. Trovare il linguaggio ë importante. Io non ho fatto l'università, ma ho imparato a comunicare, senza recitare e interessandomi a chi mi ascolta».

Nella delibera con cui il Senato accademico ha approvato le tre lauree si legge che Ciotti, Colmegna e Rigoldi «hanno usato il potere della parola per costruire una realtà sociale più avanzata e più giusta, per educare, difendere, costruire cultura e senso comune. E anche per fare vincere sfide difficili alle imprese che hanno creato, da quelle sorte sui beni confiscati alle mafie alle cooperative di servizio che hanno dato lavoro a giovani e soggetti svantaggiati».

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