Torino imparerà da piazza San Carlo

Folla impazzita, 1500 feriti nella calca – Falso allarme terroristico davanti al maxi schermo della Juventus, migliaia nel panico per la paura che sta penetrando il mondo. Sotto accusa le istituzioni locali e le misure di sicurezza. Nosiglia: «educhiamoci a vivere insieme in questo tempo». Appendino: «da domani più severità»

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Torino

Strage sfiorata sabato 3 giugno in piazza San Carlo davanti al maxi schermo della finale di Champions League Juventus-Real Madrid. Nella calca della folla impazzita per un falso allarme terroristico sono rimasti oltre 1500 feriti, un bambino in condizioni gravissime. Poteva finire molto peggio, in tragedia. Letali al suolo i cocci di migliaia di bottiglie di alcolici, che non si sarebbe dovuto permettere di vendere. In questi tempi di paura e nervi tesi sarà da mettere in discussione, d’ora in avanti, l’uso delle piazze centrali di Torino per certi assembramenti di folla, con filtri più stretti di sicurezza.

Sono giorni di polemica ai vertici delle istituzioni locali, accusate di aver lasciato la piazza a se stessa. Logico che si cerchino le responsabilità, ma quello che soprattutto ci interessa è imparare la lezione: si faccia l’elenco degli errori e non li si ripeta più, Torino è certamente in grado di fare meglio (a.r.)

Quando la paura ti entra dentro, è così. Basta un botto, fatto esplodere da uno sciagurato, per provocare uno tsunami di panico: si calpestano i vicini, si travolgono i bambini (uno è gravissimo al Regina Margherita), si lasciano gli affetti, i ricordi, le borse, le carte. Si scappa! Si scappa e si uccide la libertà degli altri, i loro affetti, le lacrime (non fai in tempo a vederle). «Fuge», come scrivevano i padri della Chiesa e non vedi più altro che te stesso, la salvezza, un approdo, un’isola., il respiro. Ma i padri aggiungevano «tace, quiesce». Noi no. Noi abbiamo fatto l’opposto: siamo fuggiti e basta.

A Torino c’era l’attesa speranzosa di una festa, di una triplete, di un mito, la Juventus. Poi, come un fulmine a ciel sereno, i brividi di una bomba. Ed è stato l’inferno. Oltre 1500 i feriti, di più quelli lesionati dentro. Le sirene delle ambulanze, i «pronto soccorso» colmi di gente sanguinante, i tg impazziti, l’immaginario collettivo devastato da immagini di cruda realtà.

Ma non era successo nulla: solo il gesto criminale di qualcuno che è andato oltre.

Le riprese di ciò che è avvenuto sono state impressionanti: urla, grida, una massa indistinta che si muoveva come un’onda, quelle altissime dell’oceano, che ti spazzano via. Il terrore era «dentro». Era sotto la nostra pelle. Come a Nizza, a Parigi, a Monaco, a Berlino, ognuno ha cercato una via di scampo per poter respirare. Facendolo ha calpestato, rotto, ferito, lesionato l’altro. Non importava se un bambino con gli occhi spauriti, un uomo forte o una donna esile. Via, via dall’inferno, perché l’inferno, purtroppo, ora ce l’abbiamo dentro.

La paura del diverso, del terrorista, del lupo solitario, l’abbiamo vista, sbagliando, lì, in piazza San Carlo, dove Benedetto XVI aveva celebrato l’eucarestia e dove, in passato, hanno «lavorato» santi come il Cottolengo e don Bosco (di cui qualche balordo, sempre nei giorni scorsi, ha rubato le reliquie del cervello; quel cervello che tanto bene ha fatto e sta producendo in tutti i continenti). Ed è stato, purtroppo, uno scenario apocalittico.

A Londra, intanto, tre gruppi di pazzi furiosi scatenavano un altro (l’ennesimo) scenario di morte: auto contro i passanti del sabato sera, accoltellatori che colpivano chiunque in nome di un Allah che certo non è il loro Dio, perché vuole la pace e non gli assassini.

Una simultaneità, 22.30 a Torino, stessa ora a Londra, che svela un detonatore invisibile, ma che è dentro di noi. Sono riusciti a farci entrare «dentro» la paura. E vanno fermati.

Sì, certo, aumenterà la sicurezza, cresceranno le azioni contro il Daesh e i loro hitleriani accoliti, ma la risposta deve nascere dentro di noi, nelle nostre convinzioni, nel nostro io più profondo.

Dio è amore, Dio è abbraccio, Dio è canto insieme alla gloria e maestosità del creato.

Il giorno prima ero su una delle cime più alte delle Alpi: c’era il sole, la neve e le nuvole che incorniciavano, a volte portando la nebbia, le punte più belle ed inesplorate.  È quella nebbia che dobbiamo cercare di far sciogliere, la nebbia, l’umidità, le lacrime, la diffidenza, la cattiveria, l’esclusione.

La scommessa è tutta lì. Se non si scioglierà, non porterà via la paura dal nostro cuore (quella che perfidamente ci hanno anche inconsciamente infiltrato) e con il panico ed il terrore, altre stragi, altri incubi ci saranno.

Ma non succederà perché noi siamo più forti, grazie alla bontà di Dio, delle loro battaglie, dei loro assalti, delle loro bombe. Ma bisogna cominciare subito, magari con un sorriso. C’è da cancellare un secolo di sospetti, di timori, di diffidenze, di politiche sbagliate, di furfanterie di comunicazione, una mentalità della paura del diverso che ha avvelenato le nostre vite, ma non offuscherà quelle dei nostri figli. «Bussate, vi sarà aperto», ma prima purifichiamo i nostri cuori.

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